mercoledì 27 luglio 2011

La poesia matura di Mario Famularo

I

Ho sempre creduto che la letteratura di un poeta contemporaneo sia molto più propensa a paradossi di quanto non lo è stato per i poeti del secolo scorso. Ecco come leggendo le cosiddette “poesie mature” di Mario Famularo si è colpiti soprattutto dal connubio di atteggiamenti etici ed estetici che, in linea di principio, allontanano fortemente il modernismo dall'avanguardia e altri correnti. Famularo potrebbe essere considerato un poeta tradizionalista, data la sua affezione verso l'utilizzo formale di strutture metriche tradizionali. Eppure non è corretto segnalare che Mario Famularo non sia un poeta moderno a cagione del solo fatto che scrive sonetti, oppure perché esprime il proprio pensiero attraverso tante quartine o simboli mitologici.
Assumo che Famularo sia un poeta non riconducibile a un movimento, ma a una pluralità di movimenti. L'idea è molto chiara, persino accettabile. Il problema sorge quando tale pluralità di movimenti risulta essere in costante contraddizione, determinando che la poesia dell'autore in questione sia, a prescindere della qualità innata di essa stessa, una poesia che al suo interiore veda crescere altrettante contraddizioni. Ma qui non possiamo ritenere la contraddizione un elemento negativo. Che un poeta presenti delle contraddizioni nella composizione della propria opera non è lo stesso a che il ministro dell'interiore si contraddica svolgendo il suo ruolo nel consiglio dei ministri. Tutto si sostiene in modo legittimo. E, dato che la contraddizione del processo creativo è stato un elemento giustificabile durante il decorso dell'industrializzazione, tale giustificazione è anche applicabile in contesti socio economici attuali. E' così come si conferma la teoria che tanti critici hanno segnalato in merito a qualsiasi poetica generata dopo i periodi storici segnalati: le arti della modernità sono lacerate dai paradossi che emergono dalle origini storiche. Ed è per questo che, alla fine, il carattere plurale delle ispirazioni della poesia di Famularo risulta un elemento ragionevole.

II

L'autore del presente studio limita la scrittura di questo articolo all'esame diretto di componimenti quali: “La forza”, “La giustizia”, “Il nettare del piacere”, “Lo scudo dell'amore”, “La luna e Psiche” e “L'ombra di Roma”. Lo studio fonda la sua tesi su idee che si dimostrano intramontabili e utili allo svolgimento dell'analisi della presente opera.
Dopo trasformazioni sociali note alla coscienza collettiva, la posizione dell'artista nella società e la sua concezione dell'arte e della vita hanno subito diversi cambiamenti. Questi cambiamenti generano posizioni estetiche in contrasto con determinate tradizioni artistiche e letterarie, oppure generano un'estetica in parziale armonia con le stesse. La produzione estetica che caratterizza questo lungo periodo storico ha come elemento generativo l'uso determinante della ragione critica. Così Octavio Paz, nel suo saggio “Los hijos del limo”, segnala:

« La ragion critica, il nostro principio guida funziona come critica di sé. Domina nel senso che si apre e si impone come l'oggetto dell'analisi, del dubbio e della negazione»

In questo caso la ragione critica prende le distanze dall'oggetto di analisi e, svalutando l'autorità dell'elemento analizzato, esalta la supremazia della coscienza analitica. Ma tale affermazione diviene equivoca agli occhi del lettore nel momento in cui si individua l'importantissimo ruolo che la ragion critica svolse sull'immaginazione estetica durante l'illuminismo . Oggi però l'obbiettivo del poeta non è quello di abbattere un sistema predominante . La democrazia non rappresenta per intellettuali ed artisti ciò che le monarchie assolute rappresentarono per gli illuministi. Per ciò la ragion critica (espressione diretta dell'alienazione) non fa altro che determinare ciò che Charles Russell interpreta come una sorta di assoluta autonomia artistica:

«Dall'estraneazione e dalla frammentazione della prospettiva d'insieme emerge il ricorso all'autenticità personale ed estetica; da un'estetica di prese di distanza e dalla distruttività critica scaturisce l'ispirazione ad un punto di vista univoco, integrato»

E' sulla base dell'autonomia della scelta estetica che nasce la frantumazione della visione dell'autore in questione. Qui la pluralità delle voci della sua poesia diventa un fenomeno sempre più giustificabile, rendendo la sola presenza della storia della letteratura mondiale e l'esistenza incoercibile della tradizione, un elemento necessario e importante all'innovazione e al processo creativo dei poeti contemporanei.
E' così come Il punto principale da esaminare nella poesia del presente autore non è soltanto quello legato agli aspetti formali che la critica ha individuato nel corso dei secoli, ma anche quello legato ai toni e alle riflessioni che il poeta inserisce nei propri componimenti. Questo è l'unico modo di capire le poesie “mature” di Mario Famularo.
Quanto ai singoli componimenti, procederò in modo articolato, data la natura che essi esibiscono al lettore.

III

Nel componimento “La forza”, Famularo presenta immagini legate a concezioni morali personali. Nel presente poema, Famularo tocca problematiche di grande attualità, creando immagini che legano lil componimento prima segnalato a una poetica di natura ermetica, propria dei poeti modernisti. L'obiettivo principale di questo componimento è ciò che per i modernisti fu l'intenzione di trasporre nell'arte la condizione “alienata” del individuo. E in questo caso il poeta aveva due possibilità concrete: affermare la supremazia della coscienza creativa in merito alla condizione alienata dell'individuo, e dunque limitare l'azione del poeta al solo atto creativo, oppure superare tale alienazione e tale ermetismo implicito in molta poesia moderna e intraprendere una strada che lega l'atto creativo a concrete estensioni di carattere politico. Ecco come, in un contesto in cui il sociale ha accresciuto il proprio dominio sulla coscienza individuale, Famularo limita la propria visione a un'azione priva di ogni applicazione pratica nella la società moderna. Ed è proprio in questo complesso che i componimenti dell'autore subiscono profonde contraddizioni, soprattutto di carattere estetico. Qui, l'uso del simbolo come espressione diretta delle proprio inquietudini e delle proprie concezioni etiche diviene l'elemento essenziale di una posizione poetica che, in altri componimenti, non si verificherà affatto. Tutto questo ermetismo risulta evidente nel poema “La forza”. Difatti, qui Famularo utilizza un ermetismo che, in certi passaggi, diviene espressione di una oscurità famigliare alla letteratura Europea:

Criniera del leone desidera il rispetto,
è l’occhio di natura feroce e generoso.
Osserva le formiche, modellano la terra,
in gruppo trovan crude la preda ormai indifesa.

Fortezze e poi castelli, dai templi alle piramidi
l’umani crescon fieri l’autorità del mondo.
Che infuri la tempesta flagellando il tifone,
che squarci terra il moto e l’apparenza crolli.

Qui il poeta dà al leone un significato correlato al potere e alla forza, così come per il Dante, nel primo canto della Commedia, è simbolo della superbia o, secondo altri, della violenza e, politicamente, della casa di Francia:

L'ora del tempo e della dolce stagione:
Ma non sì, che paura non mi desse
La vista che mi apparve, d'un leone.
Questi parea che contra me venesse
Con la test'alta e con rabbiosa fame,
Sì che parea che l'aere ne temesse.

Anche se il sintagma dei versi contenuti nelle quartine citate danno l'impressione di essere innanzi ad un componimento di carattere classicheggiante nel rispetto di una estetica di carattere moderno, l'oscurità di esse risulta quasi interamente legata ad una poetica moderna, connessa a tematiche specifiche di una certa universalità. Tale universalità germoglia da considerazioni personali correlate ad una certa visione sulla Storia. Questo è verificabile nell'ultima quartina:

Di questo magma austero impazziscono gli eventi,
la danza non finisce nel buio della sera.
Potrà passare il tempo e deboli schiantarci
ma il piccolo leone già ostenta la criniera.

Infatti, nel momento in cui il poeta riferisce a “questo magma austero” in cui “impazziscono gli eventi”, non fa altro che presentare l'intera storia dell'umanità attraverso un'evidente oscurità ermetica. A livello concettuale Famularo riconduce, probabilmente, le proprie concezioni allo scrittore inglese E. M. Forster, quando afferma che la storia sociale è «amorale» è offre semplicemente la testimonianza di un disordine. Anche “la danza” raffigura un'altra visione specifica sulla Storia sociale. Il poeta definisce essa come un movimento attivo, articolato ed elegante, che subisce, però, conflitti generatori di problematiche determinate, oppure di condizioni di grande squilibrio (« Vi sembran confliggenti / le forze di cui parlo? / Che accettino i viventi / la furia e l’eleganza.»).

Nel poema “La giustizia”, invece, il poeta utilizza toni che si allontanano da quelli presenti nel componimento appena studiato. Qui Famularo respinge l'ermetismo del poema precedente e assume atteggiamenti lontani dal rapporto con il modernismo. Anzi, in questo componimento, la poesia di Famularo si trasforma e salta dai caratteri riconducibili all'ermetismo estetico a poetiche legate all'avanguardia storica:

Osserva bene, individualista,
e tu uomo abietto, non ti voltare:
vedi Giustizia cruda e imparziale
che sa punirvi in modo esemplare ?
Ieri corrotta fino al midollo
tossiva scorie, chiudeva gli occhi:
era più forte contro miseria
e chinava il capo ai grandi serpenti.

Dal momento in cui Famularo parla direttamente all'uomo individuando le sue magagne e presentandogli il contesto in cui vive, egli pretende riformarlo. Qui, a differenza di molti poeti d'avanguardia, Famularo opera attraverso toni attenuati, senza innovare in modo provocatorio. Questo però non significa che il poeta si scolleghi interamente da atteggiamenti ricollegati ad una poetica di tipo modernista. In questo caso l'autore mantiene l'assoluta posizione di antagonismo sociale che, dal momento in cui rimane passiva, differenzia i poeti modernisti da quelli d'avanguardia. E questo indica ancora una volta l'enorme quantità di paradossi presenti nella poesia moderna e, in particolare, in quella di Famularo. Qui il fatto di dirigere le sue quartine agli individui dichiara un'intensione specifica di cambiare la concezione che il lettore ha sulle specifiche tematiche presentate dall'autore. Ecco come Famularo funge da seminatore di coscienza nel momento in cui segnala,

Guardala adesso, regge la lama
senza abbassarla al cliente di turno:
ma voi provaste in ogni maniera
a crear prove, a renderla nera.

Così Famularo passa ad essere da semplice osservatore a un portatore di valori positivi per la trasformazione della società. E in questo verrebbe paragonato, da Matei Călinescu, a un trasmettitore di idee, non indotte, però, come preciserebbe il critico Rumeno in occasione di un determinato legame politico. E' necessario però precisare che Famularo non giunge al compimento delle idee proposte da Andrè Breton a proposito della definizione d'una poetica d'avanguardia. In questo caso il poeta Francese impone come obiettivo principale dell'atto creativo la “trasformazione il mondo” - come ha detto Marx – e il “cambiamento la vita” - come scrisse Rimbaud – provando a generare, in conclusione, un tutt'uno di queste due parole d'ordine.

Inoltre, il dissenso estetico e morale presente nei due componimenti appena trattati si manifesta con altrettanta grandezza tra i componimenti successivi. Mentre che nei precedenti poemi Famularo esterna espressioni legate alla propria visione delle cose, trattando tutto in base all'azione di procedimenti analitici che raggiungono perfino la sfera sociale degli individui, nel componimento “Il nettare del piacere” l'autore prova a immerge il lettore in una dimensione profondamente intima:

M’inebriano nel tatto e nel pensiero,
ch’allontano leggero,
gli istinti che dai sensi mi compiace:
le belle forme che in avidi sorsi
prendo e vedo scomporsi,
annegano i miei lumi in nuova pace.

L'importanza che i sensi giocano sulla struttura discorsiva del componimento fanno rammentare alcuni dei più illustri componimenti del XIX secolo: per primis il Foscolo e la sua sera quando scrive “E mentre io guardo la pace, dorme / Quello spirito guerrier che'entro mi fugge”; e poi John Keats e il suo omaggio alla qui ricorrente figura della pace: “Oh Peace! And dost thou with thy presence bless / the dwellings of the war-sorrounded isle; / Sloothing with placid brow our late distress, (...)”. Ma il romanticismo che nasce dalla funzione che i sensi operano sull'individuo appare evidente soltanto nella sestina sopra citata. Qui si conferma l'idea che le contraddizioni letterarie presenti nella scrittura di Mario Famularo non si presentino soltanto tra i componimenti, ma anche dentro i componimenti stessi. La differenza manifestata tra la prima e la seconda sestina del componimento in questione dimostra come nell'essenza dello spirito creativo dell'autore ci fosse un conflitto tra la descrizione sostanziale di un processo sensoriale e il giudizio morale dei sensi provati dal poeta. Questo ci fa concludere nell'idea che tra le due sestine ci siano tracce sia di Romanticismo che di un tenue Decadentismo. Difatti Sembra che Famularo descrivesse, nella seconda sestina, quella “piccola veglia d'ebbrezza santa” che Rimbaud inserisce nelle sue “Illuminazioni”. Eppure si potrebbe interpretare il passaggio “La carne brama e freme sensuale / istinto primordiale, / che vestiamo d’amore e di ragione” (sempre contenuto nella seconda sestina) e il successivo “ci lasciamo annientare, / per poi dimenticare la questione”, come quel “veleno” che “resterà in tutte le nostre vene”, di cui Rimbaud, ancora una volta, fa riferimento nella “Mattinata d'ebbrezza”.

E dato che la sessualità, presentata in maniera intensa nella seconda sestina, viene mostrata come un “istinto primordiale” che “releghiamo in oblivione”, possiamo allegare le intenzioni discorsive dell'autore alla concezione che Jacques Lacan sostiene sulla sessualità:

Il reale, per l'essere parlante, si perde da qualche parte. Dove? Ed è qui dove Freud fecce maggior attenzione: esso si smarrisce nel rapporto sessuale. Risulta incredibile il fatto che nessuno abbia trattato questa idea prima di Freud. Il fatto che l'essere umano si smarrisca attraverso l'atto sessuale risulta evidente, incontestabile, ed è stato così da sempre e continua ad essere così. Se Freud ha centrato il suo studio sulla sessualità è in basse all'idea che l'uomo, nella sessualità, comincia a balbettare. E tutto ciò perché l'uomo si rende conto, in questo caso, che esiste qualcosa nella sua esistenza che si ripete costantemente, realizzando, finalmente, l'idea che quella sia la sua essenza.”

Invece nelle ultime quartine il poeta afferma:

Sappiamo forse che è un illusione,
ma non volendo certo rinunciare
ci lasciamo annientare,
per poi dimenticare la questione.

Così i piaceri che sappiam cercare
ipocriti smentiamo con passione,
credendoci persone
che posson di virtù poi giudicare.

L'intensione di Famularo in questa parte del componimento potrebbe essere spiegata attraverso l'interpretazione del presente carme come una sorta di sentimento colpevole verso i risultati immediati del desiderio sessuale. Eppure rappresentare la società intera come un elemento non capace di poter ragionare d'avanti alla “bramosa carne” presentata nella seconda sestina.

Nel sonetto “Lo scudo dell'amore”, l'autore ci presenta, attraverso una pressoché efficace costruzione metrica, lo stesso schema dimostrato nella poesia anteriore. In questo specifico componimento la concezione dell'amore sostenuta dal poeta si divide tra le riflessioni distribuite nelle quartine e quelle proposte nelle terzine. Nella prima quartina Famularo tratta l'amore attraverso una prospettiva idealistica, persino ingenua, legata ad una poetica di stampo romantico:

L’amore è un’egida che ci sostiene,
spesso ci illude e ci fa essere sani.
Quando dal nulla inebriati trattiene
soffoca il gelo e carezza le mani.

Nei passaggi successivi il poeta tratta gli stessi valori mediante prospettive molto più vicine ad una concezione decadente dell'amore e della vita in sé.

Quando mi sveglio dall’incubo dolce
ecco contemplo la sua indifferenza:
meglio un liquore che l’anima molce

o la potenza del muro di noia,
dove mi scontro imbevuto di scienza
quando non vedo l’astuzia del boia ?

Il massimo livello di estraneazione si presenta però nel componimento “La Luna e psiche”. Qui l'autore prende le vesti della luna e, usufruendo il concetto di “sensibilità” (significato astrologico del satellite naturale), crea un'atmosfera che le rime indirizzano verso i sentieri della dolcezza e dell'incanto puro della parola:

L’incanto sai del buio
è dolce e velenoso:
dal verno crudo a Luglio
m’affligge doloroso.

Il desiderio represso di essere parte attiva dell'umanità disinteressata copre aspirazioni che sia il poeta che la luna si vedono impossibilitati a compiere:

Vorrei precipitare
tra le vostre giornate,
poter sperimentare
fatiche spensierate.

Eppure Famularo, senza creare un capolavoro e neppure scrivere versi che passeranno alla storia, consegna, in questo componimento, la gioia che solo la semplicità può trasformare in piacere infinito, consegnandolo direttamente al cuore di chi legge e non comprende, ma scopre:

Lo rosicchiavi mite,
bagnata dal mio manto,
nelle notti assopite
godevi del mio canto.
L'ultima evidenza della diversità tra i prodotti creativi del poeta in questione si verifica nell'ultimo componimento preso in considerazione: “L'ombra di Roma”. Qui il poeta dimostra un'enorme nostalgia verso il magno passato dell'impero Romano, tale e come fecero alcuni poeti come Pound e Gabriele D'annunzio. In questa specifica occasione, Famularo si associa prevalentemente ad una certa frazione della poesia dannunziana, sia da un punto di vista estetico che ideologico. “L'ombra di Roma” rammenta fortemente ciò che è contenuto in componimenti quali, “Canti della morte e della gloria”, oppure “L'arca Romana”, in cui D'annunzio fa riferimento esplicito a un mondo ormai impietrito nelle statue e perduto nella mera memoria. Qui però la corrispondenza è vasta. Il lamento di Famularo in circa i temi segnalati sembra correlarsi molto bene alla poesia del Vate. L'autore utilizza toni che si allontanano dallo stile “pomposo” del D'annunzio, ma i contenuti sono sempre in attinenza. Proprio nel momento in cui il poeta presenta una prospettiva storica della penisola Italica mediante ben sette quartine, l'ottava e nona quartina divengono il centro della questione:

E oggi cosa siamo ?
Corrotto stato e menti
senza un’identità,
diviso da dementi:

immiseriti e chini
al più forte vicino,
pronti a cambiare lingua
per un bicchier di vino.

La negazione del presente, a guardar bene, diviene generatrice di due atteggiamenti determinati: l'inclinamento al passato, oppure la situazione opposta, ovvero il protendere verso il futuro. Qui la posizione di Famularo è chiarissima: egli non presenta atteggiamenti ideologici né estetici che lo leghino all'avanguardia. Il suo sguardo è rivolto al passato e al recupero di elementi determinati della storia dell'umanità. Il suo comportamento non è di carattere progressista, dato che assume posizioni del tutto “astoriche”, nel rispetto dell'avanguardia. Ma il pessimismo non manca (“Quest’ombra ormai c’avvince / e dobbiamo osservare / la lingua che decade, / la patria macerare.”). Eppure il D'annunzio, nell'arca Romana, invoca immagini pessimistiche derivanti dalla sua malinconia (“Tutto è immobilità di pietra, vita /che fu, memoria grave, ombra infinita.”). Oppure nel momento in cui Famularo declama, “e dobbiamo osservare”, invoca quel D'annunzio lamentoso che afferma:

Quivi masticherò la foglia amara
del mio lauro, seduto su quell’arca.

Quivi disfoglierò la rosa vana
dell’amor mio, seduto su quell’arca.

E qui, non potendo avere la realtà di quel mondo prisco, i poeti si appagano col simulacro, desiderando l'inesistenza di quella realtà contemporanea, sempre respinta da impulsi decadenti.

IV

A modo di conclusione penso sia importante sottolineare il valore paradigmatico della poesia di Mario Famularo. E non perché essa sia una poesia di valore assoluto, oppure perché i suoi caratteri essenziali dimostrino la presenza di un progresso nella letteratura contemporanea. Essa ha un valore significativo dal momento in cui dimostra che la rigidità dei processi creativi di un poeta non sia l'unica alternativa nel mondo delle liriche. Famularo rappresenta ciò che l'individuo contemporaneo vive a cagione del sistema che lo avvolge, e cioè il caos e la confusione. E questo può non essere stato espresso attraverso metodi estetici coerenti con l'estetica legata all'innovazione d'avanguardia, ma l'espressione di tale caos riesce a manifestarsi in modo capillare ed essere altrettanto efficace quanto le poetiche riferite ai processi storici segnalati. Quello che sappiamo in verità è che Famularo, pur non essendo un poeta di grandi dimensioni, riesce a rendere giustificabile metodi particolari che non dovrebbero essere necessariamente espressi attraverso i capolavori. Egli conferma l'idea che i capolavori non rispecchino totalmente la realtà dell'individuo, anche se lo stesso Famularo fa la propria Arte studiando prevalentemente il proprio ombelico. 

Yerko Andres Sermini.