giovedì 9 agosto 2012

Nascita del Neo-tradizionalismo: contenuto della conferenza svoltesi a Genova.


I

Introduzione.

Il fenomeno letterario Italiano denominato Neo-tradizionalismo è una prospettiva che, in precedenza, è stata soltanto nominata nella breve introduzione al carme “Riflessi antichi”, del giovane poeta Forlivese Luca Cenacchi. Questi, tuttavia, ha avuto una trattazione indiretta attraverso i rispettivi scritti riguardanti l'esordiente produzione letteraria del giovane poeta Genovese Vittorio Cerruti, mediante il “tradizionalismo” di Mario Famularo, e tramite un commento a ciò che potrebbe essere riconosciuto come il tentativo originario dell'acuta ricostituzione della tradizione “pura” della letteratura Italiana presente nell'opera “Turris Eburnea”, del medesimo Cenacchi.
Nonostante le pregresse trattazioni, risulta necessario correggere la concezione del “puro”, accennato alla presentazione delle opere Cerrutiane. Nello specifico, tale concetto era stato introdotto attraverso l'individuazione di una tradizione “genuina” nel rispetto di una produzione letteraria reperibile dopo la grande comparsa di autori come Giuseppe Ungaretti ed Eugenio Montale. Il dettaglio da specificare è che tale “purezza” non è totale, perché integrata da componenti riconducibili ad altre tradizioni letterarie di grande rilievo. E' proprio in una differenza di gradi di influenza esteriore che si definisce la cagione principale della dicotomia tra un tipo di tradizione e l'altro: la letteratura Post Dannunziana, nello specifico quella prodotta dagli ispiratori diretti dell'ermetismo in poi, è molto più contenuta da elementi ricavati dalle differenti esperienze letterarie straniere. A questo punto, il carattere “prevalentemente puro” della letteratura Italiana, funge da principale fonte di ispirazione per i cd. “Neo-tradizionalisti” che, rispetto ad un generale andamento della tradizione poetica degli ultimi cinquant'anni, risulta, come si è già detto in qualche pregresso articolo, un elemento di rilevante rottura e radice delle nuove forme di pluralità del sistema letterario in sé. 
Risulta peraltro necessario indicare come la presenza di questo stile nell'attività creativa di alcuni poeti Italiani trasgredisce concezioni ormai diffuse nella mentalità di determinati gruppi conformati da poeti. Ecco come introducendo tale problematica introduco anche il lato contrapposto del suddetto gruppo neo-tradizionalista: un gruppo formato da poeti fortemente influenzati dalle poetiche tipiche dell'attività letteraria del secondo novecento, e che porta avanti una chiara estremizzazione dei casi paradigmatici di tale fase letteraria. D'altronde, la presenza di tale gruppo di poeti, chiamato “Generazione entrante” (Fantuzzi), compie un importante ruolo sia nella definizione delle diverse correnti letterarie contemporanee, che nella diversità esistente tra quelle individuate nel presente articolo.
Prima di trattare direttamente la produzione poetica del movimento qui presentato, risulta necessario argomentare completamente i precetti fondamentali che lo caratterizzano, frammentando il trattato su ciò che in questa sede viene ritenuto essenziale: il concetto di tradizione, il classicismo e la sua funzione odierna, il ruolo delle poetiche tardo novecentesche nella nascita di questo movimento e le caratteristiche specifiche che caratterizzano la produzione poetica della corrente in parola. 

II

Definizione di Neo-tradizionalismo e contrasti con le correnti precedenti.

Water Binni, nel suo saggio “La poetica neoclassica in Italia” comincia il suo piccolo trattato evidenziando come la poesia neoclassica «acquista la sua forza maggiore quando si alimenta di sensibilità schiettamente nuova, pur facendosi, a un certo punto, sulla rottura di linee ben definite, momento distinto e contrastante con alcune precise tendenze romantiche». Il caso particolare del neo-tradizionalismo trasforma la formula appena presentata nei seguenti disposti: Il neo-tradizionalismo acquista la sua genesi nelle circostanze che si prospettano in ragione di una rottura su linee non tanto definite nel complesso, ma colpendo in pieno la tradizionale poetica che la letteratura Italiana ha formulato negli ultimi cinquant'anni. Tale rottura, composta in maniera essenziale da processi creativi legati alla nozione di “classico”, “classicismo” e, in casi particolari, a quella di “romanticismo”, eppure a quella di “decadentismo”, si contrappone a ciò che nella introduzione abbiamo presentato in base a poetiche e concezioni proprie della cosiddetta “generazione entrante”. Quest'ultima, presentatesi come un concetto essenziale alla comprensione della genesi del neo-tradizionalismo, trova, come abbiamo già chiarito, le sue fondamenta in ciò che Giuliano Ladolfi presenta, nello scritto introduttivo dell'antologia “Opera comune, Antologia di poeti nati negli Anni settanta” (Borgomanero, Atelier 1999), come contenuto principale di ciò che “gli autori degli anni sessanta e settanta e, per alcuni aspetti quelli degli anni ottanta, hanno trovato nella polemica avanguardistica e anarchica contro il passato la loro ragion d'essere”. Tale polemica, in un certo proposito, non aveva altro obiettivo di continuare col compito imperante nei circoli letterari novecenteschi: permettere ed esplicare una riforma della poesia e della letteratura Italiana. E' così come la poesia “entrante” porta a dedurre dati e circostanze specifiche da precisare con dettaglio. In primo luogo, è opportuno dividere il novecento in due parti: una metà sarebbe confortata “dai poeti affermatisi negli anni trenta, quaranta e cinquanta, conducendo a maturazione i processi d'inizio secolo”; l'altra metà sarebbe quella presentata in ordine all'affermarsi di poeti nelle decadi restanti. In questo punto, tuttavia, le poetiche esercitate sono diverse. Ognuna delle metà ha, in un certo senso, una propria poetica e una determinata visione sulla letteratura e tutto ciò che ne deriva. Le funzioni e le caratteristiche liriche della poesia rientrano in un arco temporale che si termina con l'oltrepassare la metà del XX secolo, introducendo, così, un notevole avvicinamento a ciò che si contrappone estremamente alle concezione del “puro” nella letteratura Italiana. E' qui che, a mio avviso, tale tradizione viene emancipata sulla base di due modelli concreti e certamente riconoscibili mercé del loro progressivo ravvicinamento alle strutture prosastiche che tanto caratterizzeranno la poesia italiana dei posteri. Tali modelli si reperiscono nell'entrata diretta di alcune concezioni chiavi che la letteratura straniera insegna al poeta e romanziere Torinese Cesare Pavese nella formulazione della sua ormai nota opera “Lavorare stanca”:

«Un po' diverso naturalmente sarà il discorso a proposito di un racconto-poema, dove il passaggio fantastico e concettuale insieme è dato proprio dall'elemento narrativo, dalla consapevolezza cioè di un'unità ideale insieme e materiale che raccoglie i diversi momenti di un'esperienza. Ma allora bisogna rinunciare alla pretesa di costruire un poema semplicemente giustapponendo delle unità: si abbia il coraggio e la forza di concepire l'opera di maggior mole con un solo respiro. Come due poemi non formano un unico racconto (si fermano tutt'al più a legami di parentela tra i rispettivi personaggi o consimili ripieghi), così due o più poesie non formano un racconto o costruzione, se non a patto di riuscire ciascuna per sé non finita. Dovrebbe bastare alla nostra ambizione, e basta in questa raccolta alla mia, che nel suo giro breve ciascuna poesia riesca una costruzione a sé stante»

La realizzazione di tale autonomia, presentata come “una costruzione a sé stante”, coniuga concezioni poetiche legate alla esperienza personale, in modo tale da generare un “poema-narrazione”:

Mangio un poco di cena seduto alla chiara finestra.
Nella stanza è già buio e si guarda il cielo.
A uscir fuori, le vie tranquille conducono
dopo un poco, in aperta campagna.
Mangio e guardo nel cielo - chi sa quante donne
stan mangiando a quest'ora - il mio corpo è tranquillo;
il lavoro stordisce il mio corpo e ogni donna.
Fuori, dopo la cena, verranno le stelle a toccare
sulla larga pianura la terra. Le stelle son vive,
ma non valgono queste ciliege, che mangio da solo.
Vedo il cielo, ma so che fra i tetti di ruggine
qualche lume già brilla e che, sotto, si fanno rumori.
Un gran sorso e il mio corpo assapora la vita
delle piante e dei fiumi e si sente staccato da tutto.
Basta un po' di silenzio e ogni cosa si ferma
nel suo luogo reale, così com'è fermo il mio corpo.
Ogni cosa è isolata davanti ai miei sensi,
che l'accettano senza scomporsi: un brusío di silenzio.
Ogni cosa, nel buio, la posso sapere
come so che il mio sangue trascorre le vene.
La pianura è un gran scorrere d'acque tra l'erbe,
una cena di tutte le cose. Ogni pianta e ogni sasso
vive immobile. Ascolto i miei cibi nutrirmi le vene
di ogni cosa che vive su questa pianura.
Non importa la notte. Il quadrato di cielo
mi susurra di tutti i fragori, e una stella minuta
si dibatte nel vuoto, lontano dai cibi,
dalle case, diversa. Non basta a se stessa,
e ha bisogno di troppe compagne. Qui al buio, da solo,
il mio corpo è tranquillo e si sente padrone.

Mentre che si deve affermare, da un'altra angolazione, come la presenza di poeti come Attilio Bertolucci, Vittorio Sereni e Eugenio Montale abbiano affermato il distaccarsi delle prossime generazioni da un atteggiamento strettamente avanguardista nei confronti di processi creativi legati alla poesia. Montale, in questo caso, è un chiarissimo esempio dell'evoluzione della poesia Italiana di allora: una poesia che subisce trasformazioni che evidenziano un passaggio dall'ermetismo verso quella poetica di gran lunga più vicina a sembianze di carattere prosastico. Ecco qui un componimento contenuto in “Ossi di seppia”, la sua prima raccolta:

Debole sistro al vento
d'una persa cicala,
toccato appena e spento
nel torpore ch'esala.
Dirama dal profondo
in noi la vena
segreta: il nostro mondo
si regge appena.
Se tu l'accenni, all'aria
bigia treman corrotte
le vestigia
che il vuoto non ringhiotte.
il gesto indi s'annulla,
tace ogni voce,
discende alla sua foce
la vita brulla.
Ed ecco qui un esempio della già menzionata evoluzione poetica sperimentata col passare del tempo in un componimento di nome “Aspasia”, della raccolta “Quaderno di quattro anni”, che porta molte somiglianze con il componimento di Pavese sopra esposto:

A tarda notte gli uomini
entrano nella sua stanza 
della finestra. Si era a pianterreno.
L'avevo chiamata Aspasia e n'era contenta.
Poi ci lasciò. Fu barista, parrucchiera e altro. 
Raramente accadeva di incontrarla.
Chiamavo allora Aspasia! A gran voce 
e lei senza fermarsi sorrideva.
Eravamo coetanei, sarà morta da un pezzo.
Quando entrerò nell'infinito, quasi per abitudine
griderò Aspasia alla prima ombra che sorrida.
Lei tirerà di lungo naturalmente. Mai 
sapremo chi fu e chi non fu
quella farfalla che aveva appena un nome
scelto da me. 

E anche se Pavese predicava la necessità di non ridurre completamente il componimento aL racconto naturalistico, le generazioni successive non fecero altro che fare il contrario dal consiglio dato dai maestri. Così è il caso della poesia di Giovanni Giudici, della cosiddetta “etica del quotidiano”: della poesia di Giovanni Raboni, Giancarlo Majorino, Giampiero Neri, Tiziano Rossi e di altri poeti di fama successiva com'è il caso di Maurizio Cucchi e Valerio Magrelli. Qui si compie, evidentemente, quella che caproni chiamava “il risparmio del rumore delle parole”, e cioè l'utilizzo di una chiarezza dedotta dalla presenza di una determinata “semplicità” (che non si conforma come sinonimo di “comune”) e che, nelle parole di Matteo Fantuzzi, funziona come “poesia sociale” (e non civile), proprio per tenere la letteratura in mezzo alle persone. Per questa ragione presento un evidente nesso logico tra l'elenco di autori sopra introdotti, e nomi come quelli di Matteo Fantuzzi (in veste di poeta, in questo caso in particolare), Matteo Zattoni, Francesco Terzago, Giulia Rusconi e Anna Ruotolo, componenti della già presentata “Generazione entrante”.

Tutta questa presentazione serve esclusivamente a indicare quale sia la rottura specifica che il neo-tradizionalismo porta nel nuovo contesto letterario Italiano. Nell'introduzione a questa trattazione ho già evidenziato la differenza essenziale che intercorre tra influenze “pure”, e influenze “spurie”. Questo determina una differenza di stile che si costituisce come un'abissale diversità poiché i neo-tradizionalisti recuperano elementi che, nei periodi sopra indicati, sono entrati totalmente in disuso dato l'accademismo che tali strumenti hanno acquisito grazie alle nuove concezioni che la poesia ha reperito in modelli diversi da quelli ritrovabili nella tradizione letteraria nostrana. 

III

Segue: Composizione essenziale del Neo-tradizionalismo


La composizione principale della corrente qui esposta ha la sua diretta rappresentanza nelle creazioni di Luca Cenacchi, Vittorio Cerruti e Mario Famularo. Le caratteristiche della poetica riguardante l'attività creativa di Vittorio Cerruti e Mario Famularo non saranno qui esposte e si raccomanda di leggere gli articoli di mercoledì 27 luglio 2011 e di giovedì 8 settembre 2011.


Il Neo Classicismo di Luca Cenacchi.

Per individuare correttamente la natura della corrente qui esposta è necessario chiarire la nozione di “classico” individuata nella elaborazione presentata nell'opera “il futuro del classico”, di Salvatore Settis. Curiosamente il concetto di classico in Settis – che viene presentato facendo una dovuta distinzione tra il classico in senso lato e quello in senso più ristretto, ove quello in senso lato rappresenta quello collegato alla civiltà greca, etrusca e romana in un arco di tempo che va dal 1200 A.C al 476 D.C, e quello in senso più ristretto rappresentato dalla sola cultura Greca in un determinato arco di tempo che va dal 490 al 320 A.C, tempo in cui si raggiunse l'apice della “classicità” - coincide con la definizione lessicale che l'accademia mette a disposizione di chiunque, per cui classico è “Dell'antica civiltà greca e romana” , oppure “che si ispira agli ideali estetici della civiltà greco-romana”, dando così l'impressione che non esista discussione alcuna rispetto alla natura del concetto in questione. Tuttavia il movimento in parola non si collega direttamente alla nozione “pura” di classico, ma si costituisce come “elemento o segmento staccato di origine classica o neoclassica”. E per questo risulta evidente l'applicazione delle svariate nature del “classico” come entità sia statica, quanto dinamica al contempo: statica perché è una espressione che ebbe una genesis e una kinesis in un tempo definito e già concluso, mentre la sua natura dinamica è rappresentabile nelle parole di novalis rispetto al suo uso e alla sua interpretazione:

L'antichità non ci è data in consegna di per sé – non è lì a portata di mano; al contrario, tocca proprio a noi saperla evocare.”

Ecco come si caratterizza un “ritorno ciclico” dei principi che il concetto di “classico” porta alle sue spalle. In un passaggio precedente “classico” e “classicismo” (concetto che già si lega al movimento del neo tradizionalismo ma non si identifica con esso in maniera diretta) formano una coppia di concetti che si spiegano e si legittimano mutuamente in quanto il “classicismo” trova diretta fonte di creazione della propria natura nel “classico”. In questo caso in particolare, e conoscendo personalmente gli autori appartenenti al “neo tradizionalismo”, il “classico” non è che una nozione collegata ai principi morali che siffatti esponenti applicherebbero alla civiltà nel suo complesso.

A questo punto, la poetica di Luca Cenacchi ha il ravvicinamento più acuto ai sensi di ciò che è stato detto in precedenza: questo concernente una concezione del classico per cui se vogliamo intendere il suo significato è opportuno rifiutare simultaneamente “sia l'idea che la tradizione culturale dell'Occidente sia in sé chiusa e conclusa, grazie a peculiarità uniche e irripetibili; sia l'idea, opposta, che la tradizione culturale occidentale non esiste come tale, in quanto non ha alcuna peculiarità distintiva sua propria.

Il continuo “alternarsi di morti e di rinascite” prende forma, in questo tempo, nell'operare creativo del poeta Forlivese:

«Il ricorso intermittente e periodico a forme del “classico” sia per intendere il passato sia in funzione del presente, che abbiamo visto inscenarsi in cento varianti a partire da quando la stessa cultura greca sancì se stessa promuovendo il culto per il passato, è anzi un carattere storico così peculiare che Ernest Howald (Die kultur der Antike, 1948) ha potuto indicare la rinascita del “classico” come la forma ritmica della storia culturale europea. La diagnosi di Howald, che vede come tipico della nostra memoria culturale non solo e non tanto il “classico” quanto il suo implacabile ritorno ciclico, apre una pista interpretativa importante, ma impone subito una domanda: e cioè se davvero questa “forma ritmica” sia peculiare della tradizione occidentale e perché.»

Questo e altro aprono una soluzione alla principale critica rivolta alla poesia Cenacchiana: perché scrivere in uno stile ormai caduco e non adeguarsi alle modalità generate dall'evoluzione della poesia? Questo, per certo, corrisponde anche ad esigenze personali: nessuno dovrebbe scegliere una determinata poetica, oppure specifici dati estetici in ragione della necessità di seguire la parola vincente, o l'egemonia del momento. Ogni lavoro estetico dovrebbe essere, in questo caso, dettato da necessità di tipo razionale e non conformistico. E in questo caso il Cenacchi trova la prorpia ragion d'essere in ciò che Chateaubriand chiama “ una segreta attrazione per le rovine”, a causa di un sentimento del sublime destato dal contrasto fra “la nostra condizione umana e la caduta del grandi imperi, che le rovine testimoniano ed evidenziano”. Eppure le rovine, in questo caso, segnano il punto di partenza di quella rinascita “necessaria” che tanto ordine mette al caos determinato dalla modernità. Qui Cenacchi dimostra quanto sia logica l'esistenza della sua poetica, in quanto le rovine che tanto caratterizzano il paesaggio occidentale erano, finora, calpestate dalla modernità intensificata dalle ansie di globalità. E ' così come il suo “neo-classicismo”, recentemente influenzato da piccoli elementi romantici, rappresenta un evidente ridestarsi a nuova vita della cultura occidentale. 

Tuttavia, come abbiamo già accennato in precedenza, il concetto di “classico” è applicabile sono in maniera indiretta. Cenacchi non crea uno stile classico, ma, come i greci, si ispira alla cultura classica in ragione della sua personale ammirazione per il classicismo. Da qui in poi risulta opportuno studiare il progresso subito dalla poetica di questo poeta fin dalla creazione dell'opera “Turris Eburnea”, anche quella rintracciabile in un commento datato 6 febbraio 2011, su “L'osservatore..”. Da quel tempo in poi, la poetica Cenacchiana si è alleggerita di classicismi ridondanti e, a dir la verità, complicati e passanti persino al lettore professionista. L'evoluzione a cui faccio riferimento ha, come principale punto di studio, un passaggio dall'estremo utilizzo della musicalità, ad un'attuale considerazione verso le forme dell'immagine e del suo potere emotivo. Questo passaggio rientra, specificatamente, in un determinato movimento che va da un accanito “neo-classicismo”, d'altronde inefficace rispetto all'evoluzione poi constatata, ad una poetica che tiene come principale caratteristica, oltre all'importanza nell'utilizzo dell'immagine, aspetti propri che toccano un'eventuale relazione tra neo-classicismo e preromanticismo. Tale gesto, come si evidenzierà successivamente, raggiunge la “perfezione che sorge sulla coscienza di una caducità dolente e viene ritrovata nelle forme e nei gesti perfetti ed ideali di una rinascita dell'arte antica”, alla maniera del Binni. Ciò nonostante, la poetica Cenacchiana ricostituisce una certa fedeltà verso il neo-classicismo, vivendo nelle sue condizioni più alte quando la passione romantica soffonde di calore una “impeccabile linearità”, costituita come “preludio alle forme romantiche del concreto, della suggestione mistica, dell'ineffabile musicale”. Qui, però, nasce una divergenza rilevante per la comprensione dell'opera in studio. Le inclinazioni verso le quali il Cenacchi protende con forza ingente e totale consapevolezza (esse legale, come si è detto, verso il neoclassicismo) sono evidenziate dalle differenze che il Binni istituisce di fronte ai concetti di “neoclassico” e “preromantico”. Qui appare di grande importanza la presenza dell'intendimento che il critico fa delle diverse concezioni che ognuno di questi stili ha del “sublime”, tutto ciò nelle loro punte più pure. In primo luogo, per i preromantici l'idea del sublime è quella delle “immagini ossianesche”(notti tempestose, immani catastrofi della natura, scene di orrore macabro). Questo concetto, a mio parere, sembra più legato ad un “tardo romanticismo”, tipico del Poe o di Bram Stocker. Mentre il preromanticismo si identifica come un confine tra il romanticismo sentimentale, proprio delle tardo Keats, Shalley, ecc., e il neoclassicismo. Dall'altra parte, per i neoclassici il sublime è “il passo sicuro ed uguale di apollo che scende tremendo e sereno”, è un “gesto statuario in cui la tensione e il movimento sono sublimati in calma superiore” (Binni). Ecco come, in base a questa divergenza, e in forza alle elezioni svolte dal poeta, tali principi si applicano nell'attività creativa del Cenacchi:

Eppure anche noi irradiamo
la nota di speranze immortali,
e poi la guardiamo risuonare
sul letto intrecciato dalle voci,
e contempliamo quando beve i fasci
di Gloria deflagrati da il plauso
per innalzarsi, gravida di luci,
e vibrar una sola volta ancora
sulla vertigine dell'assoluto.

Malgrado tutto sempre si rovina
dai candidi culmini d'un foglio,
ma a chi fùron cari i sorrisi
sempre sarà affrescato dai sospiri,
mentre culla ne la Pietà il capo
rapito al mareggiare dei drappi
chiaroscurati dal sogno d'un ombra
più fonda meno fonda, che profonda
nel biancheggiar della quiete di carne
su quei corpi, non già increspati
ma sol pacificati al flautato
distendersi di questo dramma,
seppur la Dea lieve di faville,
quasi in materno tormento s'accigli
a scrutar il corpo raffreddato dalla
continua tragedia dei mortali.

Sebbene tale “esaltazione” del gesto statuario, evoluzione principale del decorativismo freddo del “Turris Eburnea”, tende espressamente verso il concetto del “sublime” appena spiegato, è evidente quanto superino gli effetti della pittura e della scultura, tale e come il giovane Keats intuì nel momento che lesse “Venus and Adonis” di Shakespeare. Siffatti effetti, difatti, fecero impressione sul poeta Forlivese nel momento in cui esso lesse “Endimione” (John Keats, 1918), ripetendo ciò che il Keats provò con Shakespeare date le coincidenze razionali e di gusto tra l'opera del poeta inglese e i propri pareri rispetto al processo creativo. Tale visione, in un certo modo, è la visione che Winckelmann offre agli scrittori romantici (e neoclassici, a proposito) come un modello “forte e suggestivo dell'antica Grecia” (Aske).
Tuttavia, a proposito di tali movimenti oscillanti tra uno stile e l'altro, viene in mente un quesito fondamentale per la comprensione dell'evoluzione Cenacchiana: Qual'è il punto di coincidenza tra la poetica Cenacchiana e quella Keatsiana? 
La risposta è evidente nella lontananza che ognuno dei poeti qui trattati istituisce rispetto agli ideali dominanti. In verità, sia Keats che il Cenacchi si allontanano, non in maniera eccessiva, dal modello di Winckelmann. Il punto divergente sta nel fatto che il Cenacchi, attenendosi ancora ai suoi maestri originari come il Foscolo e il Monti, non si allontana affatto di quelle “condizioni intime di ricchezza spirituali” costituite in “gesti essenziali e pacati, simboli, appunto, di forza stoica, di meditativa saggezza superiore ad ogni tempesta sentimentale”, raggiungendo così momenti di “nobile semplicità e la calma grandezza” teorizzati dal Winckelmann (tradotti, secondo il Binni, in accademica vuotezza o in scenografia). A questo, dall'altro canto, si aggiunge il tipico stile florale di Keats, il che contesta, al contempo, i modelli dell'antichità. E' così come, di conseguenza, la poesia del Cenacchi si configura come un'opera innovativa nel “ritorno ciclico”, avvenuto in ragione degli ideali antichi:

Quando il muschio crinisce l'asfalto,
inteneritosi nell'inattesa
paternità, e le fronde soffuse
d'alate fughe, non ancor toccate,
ma sol sfiorate dal trillar de' baci,
e i campi s'ìrrigano di sorrisi,
allora il contadino s'accorge
che la Figlia è tornata alla Madre


IV

Cause di insuccesso del neo-tradizionalismo.

a) Insuccesso e articolazioni del pubblico.

Oltre le innumerevoli spiegazioni riguardanti la giustificata e ormai accennata esistenza della corrente presa in considerazione, risulta necessario studiare ed esporre il rapporto che essa sostiene con la realtà in cui si genera, agisce e si confronta continuamente. La verità è che, tenendo conto dei diversi meccanismi che regnano il contesto qui presentato, il neo tradizionalismo risulta essere un movimento impopolare e di poco successo. Le cause relative a tali circostanze hanno determinate origini e uno svolgimento non molto difficile da comprendere.
La prima causa è, per così dire, quella che si configura come l'origine di ogni forma di impopolarità della corrente qui esposta. Essa concerne processi, sistemi organizzativi e conseguenze culturali del fenomeno cosiddetto “globalizzazione”, fenomeno proclamato, di fatto, in una situazione egemonica rispetto ad altri processi rivoluzionari e sistemi politico-economici ormai sconfitta vent'anni fa. 
E' proprio da queste condizioni geopolitiche e culturali che si generano le circostanze che annientano la popolarità sopra menzionata e che , in aggiunta, assecondano i principi morali ed estetici che la conformano: si veda quanto influisce la globalità culturale sui meccanismi inerenti alle articolazioni del pubblico libraio, l'egemonia di certe concezioni sul funzionamento e la pratica dell'economia rispetto a mercati che hanno come principale asse di extra-profitto la produzione di libri o di prodotti di consumo di simile caratteristica e funzione.
Non penso sia necessario indicare quali siano state le cause e le conseguenze dei processi di globalizzazione, e nemmeno descrivere il suo impatto nella quotidianità della collettività (intesa proprio come insieme di cittadini che formano una determinata comunità statuale, sia come come insieme di operatori economici sistemati in base alla presenza fondamentale dell'operare di enti che svolgono attività di produzione e di altre complessi che si configurano in base alle attività di consumo). La verità è che quello che producono i meccanismi globalizzanti rispetto all'azione di determinati movimenti letterari, nonché sulla poesia nella sua pressoché totalità, ha delle determinate somiglianze in riguardo alle conseguenze che si generarono ai tempi delle due prime rivoluzioni industriali in ragione della formazione di nuove forme di letteratura e ai meccanismi di lettura che ne conseguono. Ecco come la prima similitudine che illumina gli occhi dello studioso concerne il fatto che questi processi rivoluzionari “trasformano la società” e, di conseguenza, la letteratura nei suoi diversi livelli di esistenza. La differenza, in questo caso in particolare, è che le due prime rivoluzioni industriali portarono con sé nuove forme letterarie, distinte dai meccanismi creativi caratterizzati anteriormente, e che, in un certo modo, hanno intensificato l'attività dei lettori che, allora, si configurava come una succinta massa di individui appartenenti ad un ambiente strettamente aristocratico. Si veda, poi, come la seconda rivoluzione industriale provocò gloria e declamazioni del fenomeno decadente e di ciò che dopo i diversi settori della borghesia industriale elogerebbero rispetto ai suoi rispettivi allargamenti, e cioè nascita e morte delle avanguardie.
Tuttavia, l'evolversi delle società industriali e la pressoché estinzione della letteratura puramente avanguardista hanno prodotto fenomeni assai curiosi nel susseguirsi dei meccanismi che hanno come principale centro di imputazione il rapporto tra produzione di letteratura, e cioè l'operare di uno scrittore e il pubblico che sostiene i meccanismi di mercato nell'eventuale svolgimento dell'industria editoriale:

«L'insieme della vecchia e della nuova utenza non da più l'immagine di una comunità organica, forte del suo privilegio di accesso ai testi scritti e unificata dal culto di un sistema di valori estetici. Si capiscono quindi le reazioni sconcertate, spaventate di gran parte dell'ufficialità letteraria. Invece di apprezzare la spinta alla dinamizzandone e all'irrobustimento di una vita culturale tradizionalmente troppo elitaria, si è preferito concentrare l'attenzione sugli squilibri e le contraddizioni indubbie aperte dall'entrata in campo di ceti in precedenza esclusi dalla fruizione della parola letteraria, e portatori di istanze diverse da quelle degli umanisti raffinati.»

E' qui che, in un tentativo (d'altronde ben riuscito) di spinta democratica che tendesse a riformare le articolazioni del pubblico che cambia, sia la qualità dello scrittore, sia le caratteristiche essenziali del pubblico libraio. Eppure è così come la globalizzazione , strappando il dominio totale della cultura a circoli elitari pre-industriali, ha portato un sistema enormemente innovativo che provoca, oggi, le ragioni delle nuove configurazioni tra le relazioni conformate fra autore-opinione pubblica e singolo lettore. Il nuovo sistema portato a spese della terza rivoluzione di carattere industriale genera, così, “esiti di omologazione su livelli di medietà”, e insieme “dà luogo a una somma di spinte alla differenziazione, in rispondenza all'insorgere di interessi e desideri inediti nell'immaginario di una collettività assai composita”. Esiste, in proposito, il fiorire di uno schema ordinato che presenta la prospettiva essenziale rispetto ai rapporti tra autore e lettore: uno schema che organizza il consumo di opere letterarie in funzione del livello di comprensione e valutazione dei lettori rispetto a determinate opere. Ecco come tale funzioni in riguardo ai rapporti appena accennati, aprono la soglia non solo di un nuovo ordine di autori e lettori, ma anche di nuove strutture letterarie che estremizzano la nozione di “genere” e permettono di applicare, senza tanta fedeltà il principio per cui “L'arte è cosa divina; ma non è male di tanto in tanto scrivere anche per i lettori”. In questo ambito si presenta, di conseguenza, una struttura specifica, nella quale la corrente presa in considerazione potrebbe o meno posizionarsi come membro di una sistemazione specifica degli interessi dell'industriale dell'editoria, nonché dell'autore che si conforma come dipendente (autonomo?) e dei lettori. In effetti, proprio questo atteggiamento ha favorito la comparsa di nuovi generi commercialmente molto efficaci e la cui distribuzione funziona in ragione di un'ampia diffusione, come il poliziesco e la fantascienza, oltre alla stessa produzione fumettistica.

La pluralità di generi e lettori si conforma, così, in funzione di tre livelli:

- Al primo livello appartengono le scritture più intransigentemente sperimentali, cioè più “svincolate dalle canonistiche invalse”. In questo settore potrebbero rientrare le scritture legate alle avanguardie, oppure al susseguirsi di neo movimenti che trovano diretta ispirazione in queste correnti. Qui la cerchia di consumo è circoscritta agli intenditori, “pochi ma fedeli”.

- Al secondo livello troviamo la cosiddetta “letteratura istituzionale”: in questo cerchio si possono registrare i testi apprezzati da una “utenza desiderosa di appagare il proprio immaginario con prodotti estetici rispondenti all'idea di letterarietà resa più familiare da un discreto livello di istruzione scolastica”. In questo caso, prende molto rilievo l'esistenza del romanzo, in specie il romanzo storico, neo storico o antistorico, rappresentando se stessa come il luogo elettivo per l'insorgere del Best-seller.

- Terzo livello: la letteratura d'intrattenimento. Qui la funzionalità del prodotto è affidata a convenzioni di genere molto univoche. Ad esser chiamate in causa sono disposizioni emotive che coprono una gamma vasta di interessi psichici: il gioco dell'ilarità in tutte le sue sfumature, dalla comicità alla satira , la comicità, il terrore, ecc.

E' necessario precisare come il passaggio del primo livello al terzo conformi una particolare prospettiva: il passaggio dalla letteratura sperimentale, a quella d'intrattenimento configura, dall'alto verso il basso, maggiori profitti per l'industria editoriale. Difatti, il successo economico del terzo livello, data la marginalità dei prodotti di intrattenimento, comprova quanto diffusa sia l'esigenza di prodotti che evochino esplicitamente fatti, figure e circostanze tanto estremamente familiari rispetto alla realtà della collettività, quanto per prospettive altrettanto lontane, com'è il caso della lettura di fantascienza.

La poesia, in questo particolare schema, si potrebbe situare nel terzo livello. Tuttavia, solo una particolare forma di poesia potrebbe formare parte di tale genere: la poesia novecentesca o, nella fattispecie, la poesia romantica per “innamorati”. D'altronde, la poesia strettamente sperimentale, a prescindere dell'epoca in cui è stata prodotta, si situa, rispetto ai generi lirici sentimentali, in qualche gradino inferiore in proposito delle risultanze economiche e della diffusione che l'industria editoriale tende a farne. In questo caso, la corrente qui analizzata, quella del neo-tradizionalismo, non riesce nemmeno a posizionarsi in alcun livello precedentemente esibito, dati i mezzi di diffusione utilizzati dai singoli autori che compongono tale movimento (il web), il che li situa, appunto, al di fuori dei meccanismi economici di produzione, diffusione e consumo di prodotti letterari. Eppure, da un altra angolazione di vista, la natura della loro produzione e le caratteristiche estetiche del prodotto rendono noto quanto la loro letteratura sia opportuna solo ad una determinata modalità di lettori: i cosiddetti lettori “professionisti”, i quali non appartengono ad una percentuale molto diffusa del pubblico, conformato nelle sue articolazioni.

In questo contesto, risulta opportuno individuare un altro elemento rilevante alla determinazione delle cause dell'impopolarità del neo-tradizionalismo. Anche se, in base alle struttura conformata in livelli appena accennata, il mercato dei libri sembra essere un mercato fruttifero, i dati statistici dicono esattamente il contrario. L'istituto nazionale di statistica (ISTAT) pubblica le seguenti informazioni: “Il 44,3% della popolazione ha dichiarato di aver letto fino a 3 libri nell’ultimo anno, mentre soltanto il 15,1% ne ha letti 12 o più.” Questo, di certo, evidenzia come il basso livello di lettori che appartengono alla categoria di “lettori professionisti”, si posizioni in un livello infimo, provocando un evidente segno di impopolarità della poesia e, soprattutto, di determinati generi di quest'ultima.

b) Insuccesso e identità Europea.

L'idea europeista che si pone alla base dei protagonisti del neo-tradizionalismo è ben diversa a quella che tanto caratterizza i valori fondanti dell'attuale comunità Europea. Infatti, l'europeismo istituzionale, progetto politico non ancora realizzato dalle diverse nazioni presenti sul territorio, ha come base un insieme di ideali politico-sociali desumibili nelle parole dell'anarchico russo Michail Bakunin:

«Che al fine di ottenere il trionfo della libertà, pace e giustizia nelle relazioni internazionali d'Europa, e di rendere impossibile la guerra civile tra i vari popoli che compongono la famiglia europea, una sola strada è possibile: costituire gli Stati Uniti d'Europa.»

Il concetto dietro l'Europeismo di alcuni autori che conformano il neo-tradizionalismo è direttamente legato alla nozione del “classico”, soprattutto al modo in cui tale nozione caratterizza la cultura occidentale. Di conseguenza, possiamo riferire quanto l'europeismo si costituisca come base culturale più che politica dentro gli autori in questione (si veda come tali autori non fanno un riferimento contenutistico a questi elementi, ma questi siano rintracciabili nella estetica stessa della corrente in parola). E' questo che, da una parte, si costituisce come fonte di crisi nel rapporto tra la poetica riformulata dagli autori del movimento e la realtà in cui loro agiscono in continuità. Questo sta a significare, in questa specifica circostanza, quanto l'estetica tradizionale, che, come abbiamo detto prima, trae come modelli principali di ispirazione culturale le civiltà greco e romana, sia poco presa in considerazione, data la condizione di tali valori culturali ed estetici. E le cause di questa problematica sono due: l'ansia di globalità che grava sulla coscienza del cittadino Europeo (sul lettore, in particolare) e l'autodistruzione delle discipline che si occupano di studiare siffatte culture. La prima può avere diretta spiegazione nei concetti esposti da Salvatore Settis, nell'opera sopra citata:

«Questa concentrazione sul contemporaneo si spiega forse per l'ansia di intendere l'enorme complessità di un mondo “globale”, limitandosi a conoscerlo quale esso è oggi (e lo sforzo è già grande). Ma gli eventi della storia (anche di uno o due secoli fa) tendono così a parere poco interessanti, oppure ad essere evocati saltuariamente in funzione dell'attualità politica (per esempio americana, dotandoli di una sorta di contemporaneità fragile ed effimera, con una data di scadenza.»

Ecco come il rapporto tra cittadino e natura culturale di determinate civiltà si presenta mediante modalità analoghe nel rapporto tra autore (sua classico, neo-classico, romantico o neo-tradizionalista) e il lettore (quest'ultimo, essendo cittadino, soffre le stesse conseguenze menzionate prima). La crisi europea, commenta un professore di Berkeley, Nazar Al Sayyad, ha le sue fondamenta nel fatto che L'Europa stia “abbandonando la propria memoria storica e non sa più vedere se stessa come un prodotto della storia, ma identifica ormai la propria tradizione solo nella modernità, e cioè in valori dati per indiscutibili”. Questo, per certo, porta la cultura Europea a “fungere da mero serbatoio di exempla”.

Dall'altro canto l'insuccesso si proclama in ragione di una autodistruzione della materia studiata. Quest'ultima è dovuta ad una “radicale marginalizzazione degli studi classici” nella cultura generale e nei sistemi scolastici. Ecco come viene in mente un famoso pensiero di Goethe secondo cui le discipline possono “autodistruggersi” in due modi: o perché si attardano troppo sulla superficie delle cose, o per l'eccessiva profondità in cui si immergono. Ed è questo il caso della cultura appartenente alle civiltà in parola.

V

Conclusioni.

Anche se il neo-tradizionalismo risulta una corrente che trova una prima istanza di insuccesso nel lettore medio, nato dai nuovi processi di scolarizzazione e acculturazione, questi si configura, dentro il contesto culturale (nelle sue formalità tradizionali e dentro quelle di maggiore innovazione, come la diffusione di testi nei circuiti internet) come un movimento di grande valore data la sua diversità in un contesto che produce, ormai da un secolo, prodotti che costituiscono uno scenario letterario nazionale pressoché univoco in quanto a poetiche. In questa prospettiva, il neo-tradizionalismo intende dare una spinta democratica al contesto in cui agisce, e questo attraverso la sola presenza di un'alternativa valida e sommamente qualitativa all'egemonia delle poetiche nate, progredite e affermatesi nel novecento. Ciò viene istituito grazie al pluralismo che il movimento contiene nella sua composizione (si vedano le divergenze tra il classicismo di Cenacchi e il decadentismo proprio di Cerruti) e che tenta di contagiare alle forme chiuse della odierna poesia Italiana. D'altronde, per quanto riguarda la sua “necessaria esistenza”, non sarà questa la sede di riferimento per tali considerazioni, data l'iterazione svolta nei precedenti scritti, articolati in base ai singoli membri della corrente qui esposta.

Yerko Andres Sermini