sabato 18 settembre 2010

Henry Miller: Il falso pornografo.


Devo riconoscere che la mia prima intenzione verso l'opera di Henry Miller fu quella di leggere della pornografia. Dentro la mia coscienza di lettore rimane molto chiara l'immagine di Roberto Bolaño concentrato a parlare sulle sue faccende delittuose dentro le biblioteche messicane della sua gioventù. Casualmente egli rubava i libri di Miller e De Sade con gli stessi propositi attraverso i quali io spesi dei soldi nel comprare il “Tropico del cancro”; opportunamente decorato dalla “Andromeda” di Tamara De Lampicka in copertina. A questo punto successe un fenomeno alquanto interessante: leggere le prime righe dell'opera in questione mi riempì il cuore di sensazioni molto angosciose, altroché curiosità sessuale. In queste pagine Miller inizia il romanzo descrivendo la sua condizione esistenziale dentro la miseria di Villa Borghese. Proposizioni quali: «siamo soli e siamo morti», oppure «Non c'è scampo, non cambierà stagione», fanno un effetto tale da richiamare nuvole nere sopra la coscienza e spegnere, in un certo modo, una piccola quantita d'interesse verso il romanzo. 
Intanto , visto che i romanzi hanno una stesura ben determinata, la lettura doveva proseguire, anche perché  l'avidità di riempire il tempo da immagini immorali e quadri erotici era gigantesca. Così arrivai a contemplare ogni passo dato dall'autore verso un universo totalmente originale ed intimo. Forse la mia posizione nella storia e lo sviluppo della tolleranza verso alcune parole “scorrette” hanno provocato che, a differenza di Orwell e una certa quantità di censori, il romanzo non mi scandalizzasse in eccedenza. Questo non vuol dire che il libro sia buono; è la sua particolare atipicità quello che rende l'opera un romanzo attraente. In questo modo, dopo la lettura completa dello scritto, ci si rende conto che la carica di erotismo non è a livelli stratosferici e questo è, di sicuro, un fatto che denuncia il moralismo che soffocò la commercializzazione del romanzo, costringendolo a una ben nota clandestinità. Ecco perchè la vera natura del romanzo, quella in cui c'è una gran esibizione delle povere avventure giornaliere di Miller a Parigi nei tempi della depressione, provoca, sfortunatamente, una certa delusione nei lettori presi già dal pregiudizio: è inevitabile non sentire una certa impotenza nel momento in cui ci si mette a leggere un libro dal quale si risulta ottenere soltanto il vagabondaggio di un aspirante scrittore e non la carnalità così attesa in precedenza. Mi sa che, in questo caso, mirando ad equilibrare e a compensare i desideri, bisogna prendere i diari della Nin o la medesima pornografia in Francese scritta dallo stesso Miller a un dollaro la pagina (archivi ormai persi dopo tanto tempo trascorso). Nondimeno è necessario precisare che la cifra di Miller non è nelle sue offese all'educata società intellettuale Europea, ma, ripeto, si presenta nel suo “anarchismo”. Anzi, l'anarchia è presente sia nei personaggi del romanzo che nell’ innovativo stile dello stesso. Perché, precisamente, quello che esce dalla testa di Miller non si lega a quasi nulla, soltanto ad un comma scritto da Waldo Emerson in cui egli augura, con notevole ottimismo, un prospero avvenire alle biografie:

« In futuro questi romanzi cederanno il passo ai diari, alle autobiografie: libri avvincenti, se soltanto qualcuno sapesse fare una scelta fra ciò che egli chiama le sue esperienze e conoscesse il modo veridico di raccontare la verità”»

Ora bisogna essere realisti: Chi legge oggi questa sorta di romanzi? E' vero che le autobiografie sono oggi un mezzo di successo commerciale, sempre e quando sia l'autobiografia di qualche personaggio storicamente noto. Quindi, di conseguenza, la questione subisce una piccola mutazione: chi si ferma a leggere l'autobiografia di un vagabondo, sudicio, pidocchioso e intellettuale di serie b perso tra quartieri parigini e prostitute di qualità? La risposta è semplice: noi, lettori onnivori e di mentalità alquanto liberale, attingendo, anche se non in modo assoluto, alla predisposizione di trovare un pornografo anziché un’artista. Per questo Miller non fu e non sarà mai lo scrittore del secolo. Ci sono stati scrittori quali, Pound, Eliot e Huxley che hanno lodato la sua scrittura, visto che la suddetta è una chiara dimostrazione di modernismo letterario. Tuttavia, però, questo è poco: dove sono i riconoscimenti? Bella domanda: questi non si presentano, certamente, in premi o lauri accademici, anche se bisogna non dimenticare la coraggiosa e altrettanto umoristica presentazione di Miller al premio Nobel attraverso una breve lettera scritta a pugno dallo scrittore Beat William Borroughs: «Dear Sir, Henry Miller is a uniquely qualified candidate for the Nobel Prize, as a writer whose work — over a period of forty years — possesses not only great intrinsic merit, but has also contributed immeasurably to freedom of expression. Very sincerely, William S. Burroughs (Novelist).”» Così, rimanendo la petizione in nulla, gli unici premi che Miller può ottenere sono i propri lettori: fatto non minore per un romanzo del genere.
In conclusione Henry Miller non è altro che un superstite. Vedere le sue opere così ordinate in fila nelle astanterie di una biblioteca fa pensare ad una certa sopravvivenza (sopravviverà Aldo Busi al trascorso del tempo?), anche se queste  non siano così benfatte quanto quelle di altri autori americani che nel periodo tra le bombe scrissero capolavori riconosciuti sia dalla critica che dal crudele e disordinato trascorso del tempo. Miller, in questo modo, potrebbe perfettamente essere definito un romanziere talentuoso, oppure un bravo ritrattista espressionista. Però, nonostante tutto, la sua eccellenza si realizza nell'enorme dimostrazione di un certo disincanto, di un menefreghismo che non smette mai di essere collettivo, realistico ed attuale.

Yerko Andres Sermini. 

domenica 12 settembre 2010

Prosa o poesia?

Introduzione
Questo saggio, fondamentalmente, è un quesito, un dilemma .
Non sono qui per proporre il quesito anceschiano: che cos’è X.  Parto dal presupposto che la poesia è tutto ciò che l’uomo, o meglio, il critico chiama e cataloga sotto questa parola. Questa presa di posizione, ad alcuni, può sembrare quasi senza senso; sarebbe impossibile cercare di definire la poesia e pensare di riuscire a esaurire in questa millenni di produzione umana, però, si potrà replicare che, considerando la micro poetica contemporanea, si possa arrivare comunque ad una definizione(cioè solo certi periodi della storia della poesia). Per principio non credo nella possibilità di riuscita del proposito, tuttavia, replicherei: se considerassimo solo un certo periodo storico tutto il resto,antecedente o che ne trascende i dettami, diventerebbe automaticamente obsoleto e non sarebbero più opere d’arte(dunque dovrei sostenere, ad esempio, in campo pittorico, che la Gioconda di Leonardo non è un’opera d’arte in quanto dovrei considerare, nella proposizione, solo la pittura contemporanea); gli si negherebbe inoltre la possibilità di Trascendenza[1] che accomuna tutte le opere.
In questa saggio introdurrò il problema della differenziazione della poesia dalla prosa nelle proposte contemporanee .

1.0   L’annichilimento metrico:  Verlaine e Ginsberg
 Sin dall’antichità fino ad oggi, a seconda dei momenti e dalle lingue[2], alcune proposte poetiche sono state accompagnate da una struttura metrica ben definita. Dal decadentismo, o meglio, una parte di esso, si è cominciato a discutere sulla possibilità di soprassedere ad alcune regole che sono(o erano) di vitale importanza per ogni scrittore[3]:

«Prendi l’eloquenza e torcile il collo!
E farai bene, in vena d’energia,
a moderare un poco anche la rima.
Fin dove andrà, se non la tieni d’occhio?

Oh, chi dirà i torti della rima?
Quale bambino sordo o negro pazzo
ci ha plasmato questo gioiello da un soldo,
che sotto la lima suona vuoto e falso?»

Verlaine, però, sembra conservare ancora, o almeno non la condanna, un po’ di metrica. Questa parola, nella poetica di Ginsberg e Withman, sembra assolutamente assente[4] come testimoniano:  Continuità e Barlume Notturno; le opere del primo sono capaci di trasferire il lettore in una dimensione onirica, in un sogno e, in certi passaggi paiono definitivamente automatismi mentali trascritti. L’impaginazione scelta rassomiglia del tutto a quella di un romanzo, difatti, delle volte, il lettore avrà la sensazione di leggere  un racconto di un sogno, di una visione più che una poesia.
2.0   Evoluzione e rottura
Ogni movimento, nella letteratura europea, è sovente stimolo per la sua evoluzione in altre correnti che da questo ne prendono le mosse; altre volte però si ha una reazione nei confronti del suddetto, come neoclassicismo e romanticismo, che porta i poeti di entrambe le fazioni a prendere posizioni del tutto opposte. Nella poesia italiana,futuristi a parte, nonostante il passare degli anni, si è sempre mantenuta una vaga struttura metrica che, lontanamente, si rifà ai dettami degli antichi anche se con qualche modifica. Le produzioni americane, invece, hanno reinventato completamente il modo di fare poesia stabilendo una rottura stilistica con quella nostrana (e vorrei dire anche europea).
3.0   Poesia o prosa?
 Dopo aver a lungo esaminato produzioni poetiche americane, soprattutto di Withman e Ginsberg, ne ho rilevato che, in molti frangenti, rispetto alla poesia moderna, più ligia alle regole metriche, paiono vere e proprie prose o prose poetiche. Il dilemma che si pone è inevitabile: oggi, dovendo considerare la molteplicità delle proposte internazionali contemporanee e storiche, che cosa diversifica la poesia dalla prosa? Anche se pedante la risposta parrebbe scontata: La metrica[5]. Così dicendo, però, bisogna ammettere che la poesia americana, essendone praticamente priva( lo dimostrano le impaginazioni sempre diverse nelle varie edizioni), debba essere esclusa o messa in secondo piano; se invece  la si privilegia, tuttavia, si rischia di cadere in equivoci che fonderebbero prosa e poesia: non si saprebbe più dire se una determinata composizione è un romanzo oppure è una lunga poesia. Cosa stabilisce che certi passi, ad esempio, della ricerca del tempo  perduto di Proust ,sono prosa invece che poesia? Soltanto una mera catalogazione critica? Purtroppo, ancora una volta, più si ragiona e si cerca di uscire dall'inghippo più pare insolvibile perchè, se si decide di prendere posizione, una scelta esclude l’altra.
Signor S.


[1]Si veda il paragrafo relativo al museo immaginario dal libro L’opera dell’arte: immanenza e trascendenza di Gerard Genette(edito da Clueb a cura di Fernando Bollino)
[2] Il sistema metrico varia di lingua in lingua: la poesia latina, ad esempio, è quantitativa mentre quella italiana è accentuativa; le lingue germaniche si fondano sull’accento intensivo e sul verso breve;in Russia veniva utilizzato un sistema giambico e trocaico (fino alla metà dell’ottocento)
[3] Verlaine è stato uno dei primi che si è pubblicamente schierato contro la rima(deve essere moderata). Quest’ultima, però, decideva, assieme al numero di versi, di che tipo componimento si tratta: il sonetto, ad esempio, secondo il metro fondamentale, era composto da due quartine e due terzine di endecasillabi con rima incrociata(ABBA ABBA), alternata(ABAB ABAB) nelle prime e, nelle seconde, alternata(CDC DCD O CDC CDC) o invertite(CDE EDC) o replicate(CDE CDE).
[4] Infatti la conta sillabica è del tutto casuale(nei componimenti di Withman, a volte, si incontrano versi di 35 sillabe) quest’ultima poi non è costante; gli accenti irregolari cadono in posizioni sempre diverse. La rima è praticamente inesistente se non per qualche esempio (fortuito?) e, a volte, il nesso logico viene messo da parte per favorire immagini molto fantasiose.
[5] Anche jackobson(noto strutturalista), in linguistica e poetica, sembrerebbe concludere che la poesia si riconosce, prima di tutto, dalla metrica e dalle varie figure retoriche applicabili.

giovedì 2 settembre 2010

Pablo Neruda / Al di là del sonet.


Ecco qui una decina di parole chiavi: mattone, sgocciolatura, grappolo, susina, pioggerella, creda, trifoglio, brina, innaffiare, tubature, sellaio e gorgheggiare. Queste sono alcune delle espressioni che ho segnato dietro l'edizione “Passigli” dei “Cento sonetti d'amore” scritti dal premio Nobel per la letteratura Pablo Neruda. I termini segnalati sono, essenzialmente, un insieme di orme che invocano certe immagini del mio passato: le pericolose susine che cadevano dall'albero nell'estate, le fastidiose sgocciolature che si presentavano in inverno e bagnavano casa mia quasi nella sua totalità, l'immagine di mio padre impegnato ad innaffiare l'erba del nostro accurato giardino posteriore che è tesoro di ogni famiglia della zona centrale cilena. Ora ,il mio obbiettivo centrale, non è fare esibizione di alcuni termini che hanno marcato la mia scarsa “identità patriottica”, ma quello di ampliare i confini tematici di quello che è, precisamente, l'opera di uno dei poeti più importanti della storia dell'America latina; perché Neruda non è solo un artista che, attraverso il suo pugno, ha frammentato “l'amore” in versi sublimi, ma qualcosa di superiore a quella figura “affermata”: un poeta civile, creatore di coscienza nazionale e, soprattutto, di coscienza latino-americana. Nonostante i dettagli l'amore è, soprattutto, la tematica principale di quest'opera raffinata, talora impulsiva, surreale, vasta di immagini alquanto illogiche ma eccelse e d'una bellezza logicamente sprizzata della costante assoluta della poesia d'amore Nerudiana: il sentimento. Lo stesso Neruda riconobbe questo fatto nel momento in cui proferì il suo discorso per il Nobel a Stoccolma, il 21 ottobre 1971: « […] penso che la poesia sia un'azione passeggera o solenne in cui entrano in pari misura la solitudine e la solidarietà, il sentimento e l'azione, l'intimità dell'individuo, l'intimità dell'uomo e la segreta rivelazione della natura». Anzi, la poesia Nerudiana, persino nella sua manifestazione propagandista, prende l'intensità della andatura di un fiume che trascina tutte queste componenti. In questo caso, l'incontro con quella che sarebbe la sua compagna di vita, Matilde Urrutia, provoca la nascita di versi che, seguendo un cristallino e rumoroso fluido, arrivano sia al percorso attraverso un “infinito immaginario” che ad indicare nuove strade al sonetto; egli lo costruisce, infatti, con endecasillabi privi di rima.
Nel libro risalta un'altra particolarità, la divisione dei sonetti in sezioni corrispondenti alle fasi del giorno: mattino, mezzogiorno, sera e notte. Questa è una divisione simbolica che illustra una certa traiettoria dell'animo. L'amore si presenta attraverso uno stato di grazia e preoccupazioni intime. I versi del primo gruppo, ad esempio, esprimono una condizione felice. Matilde diviene la quintessenza di ciò che Neruda considera “il valore positivo assoluto” e così, allo stesso tempo, si accende quel fluido di immagini che tanto caratterizza la poesia Nerudiana:

« Vedrò sul ramo la tua capigliatura,
il tuo segno che matura nel fogliame,
che avvicina le foglie alla mia sete,

la mia bocca empirà la tua sostanza,
il bacio che ascese dalla terra
col tuo sangue di frutto innamorato.»

Nel gruppo di sonetti riuniti nel resto delle sezioni l'animo del poeta accentua un carattere riflessivo e triste. Nicanor Parra, celeberrimo poeta Cileno, riferì su Neruda : « (…) è chiaro che in questi tempi bisogna imparare a ridere quanto gli antipoeti! Ma è anche necessario piangere ancora, come lo fecce Neruda.»Da qui la denominata “Poesia di lacrime”:

«Di pena in pena attraversa le sue isole l'amore
e stabilisce radici che poi irriga il pianto,
e nessuno può, nessuno può evadere i passi
del cuore che corre silenzioso e carnivoro.»

Un dettaglio preciso è anche la sua amicizia con i pittori Diego Rivera e Frida Kahlo i quali hanno influenzato marcatamente il processo creativo di quest'opera: da una parte si realizza la passione per la propria terra dimostrata nelle opere di Rivera, dall'altra una certa espressione legata al dolore metafisico e alle opere della Kahlo. Neruda, dopo tutto, non fu mai un poeta-intellettuale;si servì della propria natura e della profondità dei suoi sentimenti per creare quello che è, senza dubbi, il lavoro di un vero e proprio artigiano dell'immagine. Infatti egli non formula una quantità specifica di riflessioni, ma crea una quantità illimitata di figure. Così la piuma si trasforma in un gran pennello che, con maestosità, dipinge clementi e deliziose pitture esibite soltanto nell'interiore del nostro immaginario collettivo. Questo, sinceramente, è troppo significativo per essere di un artista che “tutti” conoscono, ma che pochi sanno apprezzare nella sua totalità.


Yerko Andres Sermini

mercoledì 1 settembre 2010

Olive Kitteridge: lo specchio di un mondo.

Chi direbbe che una vecchia e infelice professoressa di matematica sarebbe stata la portavoce del dolore che solo gli Americani possono provare? Oppure che la voce di questo essere cosi severo, ma attento e spesso generoso, sarebbe stata la conferma dell’efficienza della letteratura americana? Trovare almeno un po' di dolcezza nella lettere nordamericane contemporanee è un caso quasi impossibile. Soltanto la profonda sensibilità femminile poteva fare la differenza dentro un contesto sempre influenzato dalla sperimentazione e dal minimalismo tragicamente volgare. Olive Kitteridge (Elizabeth Strout - Editore Fazi, collona Le strade) non è altro che una linea divisoria che separa l’amarezza totale dall’amarezza accompagnata da una tenerezza femminile unica.
La Strout struttura un “romanzo in racconti”che sono legati alla rappresentativa figura di Olive Kitteridge, professoressa in pensione e uno dei tanti abitanti di Crosby, cittadina del Maine: un luogo futile che tuttavia, grazie alla sottile lama dello sguardo dell’autrice, diviene lo specchio di un mondo più ampio e simbolico. E’ in questo contesto che il mondo intero si scopre agli occhi del lettore: un farmacista cattolica, una pianista alcolizzata dalla propria solitudine e un podologo depresso pronto a sposarsi sono alcuni dei personaggi che formano le esperienze di questo fresco romanzo.
La maggior parte delle storie attivano una specie di meraviglia spontanea e dolorosa. La vasta gamma di esperienze lascia, nel lettore, un sapore anziché una mera impressione trasformando la Lettura del romanzo in una azione culinaria più che letteraria. Qui ogni storia provoca nel recettore quella che sarebbe, probabilmente, la formula del successo totale: l’identificazione, la luce negli occhi dei personaggi, i loro volti ordinari e la loro complessità emotiva spinge ,ogni lettore, a trasformarsi in colui che occupa la sua stessa posizione.
Olive kitteridge è, ancora una volta, una grande dimostrazione del fatto che solo gli americani possono fare i propri autoritratti. Il romanzo rammenta la grande eredità del secolo: un ambiente molto simile a quello descrito da Reymond Carver nei suoi racconti e a quello rappresentato da Edwuard Hopper nei suoi dipinti.
E’ così che la tradizione letteraria e la femminilità di Strout rendono il romanzo una deliziosa analisi dell’umano. Resta solo da segnalare il merito che Straut ha avuto nel ricevere il premio pulizer per il romanzo. Non è difficile riconoscere che la scrittrice merita di essere al fianco di nomi quali: Hernest Hemingway, William Faulkner, Richard Ford, Philip Roth e Cormac McCarthy. Eppure niente, neanche premi ed elogi potranno compararsi alla sensazione che Olive kitteridge ha provocato. In fine, il maggior encomio, non è altro che provare brividi e dolore ogni volta che una frase del romanzo viene assaggiata.

Yerko Andres Sermini