domenica 12 settembre 2010

Prosa o poesia?

Introduzione
Questo saggio, fondamentalmente, è un quesito, un dilemma .
Non sono qui per proporre il quesito anceschiano: che cos’è X.  Parto dal presupposto che la poesia è tutto ciò che l’uomo, o meglio, il critico chiama e cataloga sotto questa parola. Questa presa di posizione, ad alcuni, può sembrare quasi senza senso; sarebbe impossibile cercare di definire la poesia e pensare di riuscire a esaurire in questa millenni di produzione umana, però, si potrà replicare che, considerando la micro poetica contemporanea, si possa arrivare comunque ad una definizione(cioè solo certi periodi della storia della poesia). Per principio non credo nella possibilità di riuscita del proposito, tuttavia, replicherei: se considerassimo solo un certo periodo storico tutto il resto,antecedente o che ne trascende i dettami, diventerebbe automaticamente obsoleto e non sarebbero più opere d’arte(dunque dovrei sostenere, ad esempio, in campo pittorico, che la Gioconda di Leonardo non è un’opera d’arte in quanto dovrei considerare, nella proposizione, solo la pittura contemporanea); gli si negherebbe inoltre la possibilità di Trascendenza[1] che accomuna tutte le opere.
In questa saggio introdurrò il problema della differenziazione della poesia dalla prosa nelle proposte contemporanee .

1.0   L’annichilimento metrico:  Verlaine e Ginsberg
 Sin dall’antichità fino ad oggi, a seconda dei momenti e dalle lingue[2], alcune proposte poetiche sono state accompagnate da una struttura metrica ben definita. Dal decadentismo, o meglio, una parte di esso, si è cominciato a discutere sulla possibilità di soprassedere ad alcune regole che sono(o erano) di vitale importanza per ogni scrittore[3]:

«Prendi l’eloquenza e torcile il collo!
E farai bene, in vena d’energia,
a moderare un poco anche la rima.
Fin dove andrà, se non la tieni d’occhio?

Oh, chi dirà i torti della rima?
Quale bambino sordo o negro pazzo
ci ha plasmato questo gioiello da un soldo,
che sotto la lima suona vuoto e falso?»

Verlaine, però, sembra conservare ancora, o almeno non la condanna, un po’ di metrica. Questa parola, nella poetica di Ginsberg e Withman, sembra assolutamente assente[4] come testimoniano:  Continuità e Barlume Notturno; le opere del primo sono capaci di trasferire il lettore in una dimensione onirica, in un sogno e, in certi passaggi paiono definitivamente automatismi mentali trascritti. L’impaginazione scelta rassomiglia del tutto a quella di un romanzo, difatti, delle volte, il lettore avrà la sensazione di leggere  un racconto di un sogno, di una visione più che una poesia.
2.0   Evoluzione e rottura
Ogni movimento, nella letteratura europea, è sovente stimolo per la sua evoluzione in altre correnti che da questo ne prendono le mosse; altre volte però si ha una reazione nei confronti del suddetto, come neoclassicismo e romanticismo, che porta i poeti di entrambe le fazioni a prendere posizioni del tutto opposte. Nella poesia italiana,futuristi a parte, nonostante il passare degli anni, si è sempre mantenuta una vaga struttura metrica che, lontanamente, si rifà ai dettami degli antichi anche se con qualche modifica. Le produzioni americane, invece, hanno reinventato completamente il modo di fare poesia stabilendo una rottura stilistica con quella nostrana (e vorrei dire anche europea).
3.0   Poesia o prosa?
 Dopo aver a lungo esaminato produzioni poetiche americane, soprattutto di Withman e Ginsberg, ne ho rilevato che, in molti frangenti, rispetto alla poesia moderna, più ligia alle regole metriche, paiono vere e proprie prose o prose poetiche. Il dilemma che si pone è inevitabile: oggi, dovendo considerare la molteplicità delle proposte internazionali contemporanee e storiche, che cosa diversifica la poesia dalla prosa? Anche se pedante la risposta parrebbe scontata: La metrica[5]. Così dicendo, però, bisogna ammettere che la poesia americana, essendone praticamente priva( lo dimostrano le impaginazioni sempre diverse nelle varie edizioni), debba essere esclusa o messa in secondo piano; se invece  la si privilegia, tuttavia, si rischia di cadere in equivoci che fonderebbero prosa e poesia: non si saprebbe più dire se una determinata composizione è un romanzo oppure è una lunga poesia. Cosa stabilisce che certi passi, ad esempio, della ricerca del tempo  perduto di Proust ,sono prosa invece che poesia? Soltanto una mera catalogazione critica? Purtroppo, ancora una volta, più si ragiona e si cerca di uscire dall'inghippo più pare insolvibile perchè, se si decide di prendere posizione, una scelta esclude l’altra.
Signor S.


[1]Si veda il paragrafo relativo al museo immaginario dal libro L’opera dell’arte: immanenza e trascendenza di Gerard Genette(edito da Clueb a cura di Fernando Bollino)
[2] Il sistema metrico varia di lingua in lingua: la poesia latina, ad esempio, è quantitativa mentre quella italiana è accentuativa; le lingue germaniche si fondano sull’accento intensivo e sul verso breve;in Russia veniva utilizzato un sistema giambico e trocaico (fino alla metà dell’ottocento)
[3] Verlaine è stato uno dei primi che si è pubblicamente schierato contro la rima(deve essere moderata). Quest’ultima, però, decideva, assieme al numero di versi, di che tipo componimento si tratta: il sonetto, ad esempio, secondo il metro fondamentale, era composto da due quartine e due terzine di endecasillabi con rima incrociata(ABBA ABBA), alternata(ABAB ABAB) nelle prime e, nelle seconde, alternata(CDC DCD O CDC CDC) o invertite(CDE EDC) o replicate(CDE CDE).
[4] Infatti la conta sillabica è del tutto casuale(nei componimenti di Withman, a volte, si incontrano versi di 35 sillabe) quest’ultima poi non è costante; gli accenti irregolari cadono in posizioni sempre diverse. La rima è praticamente inesistente se non per qualche esempio (fortuito?) e, a volte, il nesso logico viene messo da parte per favorire immagini molto fantasiose.
[5] Anche jackobson(noto strutturalista), in linguistica e poetica, sembrerebbe concludere che la poesia si riconosce, prima di tutto, dalla metrica e dalle varie figure retoriche applicabili.

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