domenica 27 novembre 2011

Brevissima introduzione a “Riflessi antichi”, di Luca Cenacchi.

La presente introduzione ha come oggetto centrale un'opera che rappresenta, in un determinato contesto, una rottura rilevante. Probabilmente “Riflessi antichi” - opera qui presentata - avrà un significato assai più importante di quello che certe coscienze hanno imposto con totale e gratuita fretta. La verità è che non risulta facile riassumere l'essenza di questo carme in una piccola introduzione, per ciò è necessario precisare che il mio scritto non è altro che una sinossi, e non lo scritto che vorrei veramente esporre. In primo posto, l'opera, pur essendo di larga matrice Foscoliana, tratta temi del tutto attuali (a differenza di ciò che alcuni ritengono con grande vivacità); E anche se tali tematiche sembrano già essere state trattate tempo addietro, esse non sono mai state sondate in questa maniera. Sembra curioso che un poeta odierno utilizzi tematiche di questa natura attrezzandosi di una poetica che, per alcuni, è morta nell'ambito della produzione letteraria contemporanea . Ecco perché Luca Cenacchi dimostra un segno di forza nei confronti dei suoi coevi: egli sperimenta, attraverso l'uso dell'espressione aulica, una complessità di temi che qualsiasi altro avrebbe trattato mediante l'espressione standard e le forme ormai consuete degli ultimi cinquant'anni di tradizione. Ma per capire meglio questa trattazione è necessario toccare dei passaggi concreti del carme . L'opera, prima di tutto, è composta da tre specifici componimenti lirici: “La speranza”, “Alla morte” e “Imèneo”. Nel primo componimento possiamo trovare già un cenno a tematiche care ai giovani neo – tradizionalisti: l'influenza globalizzante Americana sull'Italia (“quando su i tormenti e le patrie / croci grava a' vati straniero / e a gl'inni, oscuro 'l Tacchino, / e tiranno ammaestra i Nostri / catenando gli Esuli a' giochi.”); il neoclassicismo come arma principale di resistenza contro tale minaccia e la speranza sorgente dalla testimonianza di un mondo armonioso che cresce in mezzo al paesaggio della contemporaneità (si veda il vincolo al duomo di Forlì e al cimitero monumentale stesso). Altre tematiche, come il razzismo, vengono toccate prima che cominci ciò che, nelle parole dello stesso autore, risulta “il vero e proprio carme”. Qui il poeta sente, in una notte quieta e armoniosa, gli ululati di ciò che sarebbe, secondo lui, piaga del vivere contemporaneo; e non solo: il passaggio qui presentato è caratterizzato da immagini rapide che spesso si rivelano in rapporti di ossimori (“Ma lunge ne l’ignoto s’odon/ sgangherarsi i lai e gl’immondi/ attoniti insultar gl’Elisi/ invidiando la quiete e’l Lume,/ e quindi rovinare dissolti/ o levarsi ancora delirando/ d’iperborëi fuochi fra deserti/ algenti di sidèree sabbie,/ compiacendosi negli abissi/ in cui si rispecchian i lor volti/ scomposti ne la psìchica insania,/ per pöi eclissarsi ancora.”).
La spiegazione di questo passo richiede un maggiore approfondimento, il che ci rimanderà al prossimo trattamento di questo carme.
Nel secondo componimento, “Alla morte”, il poeta riecheggia l'influenza di un altro autore importante, Giuseppe Parini, il quale viene usato in modo da accomodare le proprie critiche a quelle attuali, rivolte ai poeti-ma non solo- della sua generazione. Qui, anche la figura dell'Atlante risulta centrale (“Sì le ombre più volte violate /arretran e disvelan i Sepolcri, /e già lesto, de’ gl’avi custode, / eletto a sublimare l’empireo, / spetrato si innalza Atlante, /e in serpentinata sembianza /si plasma devota la posa, /scolpita e affrescata nel voto /che la pèrmea sacrando lo sforzo, /quand’alzando la destra sostiene /leggiadre le vertìgini astrali /e l’altra de l’uman delirare /gravissimo il passo contende, /perchè troppe beltà a la Storia /gïà gl’insanguinan i vaghi vestigi”).Ora si può essere sviati dalla figura di Atlante e dalla retorica con cui è descritto senza vedere la rivisitazione del mito stesso: uno dei modi con cui il poeta cerca di rendere attuali certe figure(serpentinata sembianza, qui, sta a significare la figura serpentinata); Eppure, proprio per spiegare il significato di questa centrale figura mitologica, userei le stesse parole dell'autore, che indica le proprie intenzioni di significato:
«Atlante cosa fa? con una mano regge il cielo che è leggero, perché non ha peccati e la terra che è imbevuta dal sangue sparso da l'uomo ; con l'altra mano combatte l'oblio del delirare umano(quel delirare che Foscolo chiamò: un natio delirar di battaglia, ma non pare che lo considerasse così distruttivo o dilagante ma come qualcosa che serpe quasi occulto), le ricusa; questo delirare che è gravissimo, cioè pesantissimo; ma perché contende il passo verso gli elisi? Perché questo delirare insanguinò alle vesti della Storia attraverso la vita di troppe bellezze»

Infine, “L'imèneo” presenta un'idea fondamentale nell'ambito della poesia dell'autore: l'atto di divinizzazione della donna, ora non più rapportato direttamente all'immagine di Dio, ma definito come atto idoneo a identificare la“divinità stessa che con le sue doti di generazione può eternare un uomo, rubandolo al suo destino mortale”. In questo caso, l'immagine ideale della persona amata non è più rifugiato dietro la figura di Venere. Anzi, le caratteristiche di Venere sono sotto "nascoste" dietro l'immagine dell'amata. Così il poeta crea una sorta di divinizzazione della donna: si noti che non si può parlare di donna angelica poiché l figura femminile diventa, in Cenacchi, principio e fine dell'esperienza spirituale; se fosse una visione dantesca, come dice Eco, l'idea che si avrebbe sarebbe la seguente: "[...] in Dante la donna angelicata[...] è via di salvazione, mezzo di elevazione a Dio". Ora, è chiaro che per Cenacchi la donna(cosa che oggi pare meno scontata che in altri tempi) non è più nessun tipo di strumento o mezzo per giungere a uno scopo, eppure anche in questa visione, ancora una volta, si può scorgere una critica alla contemporaneità, elemento pressoché costante della produzione dell'autore.

Yerko Andres Sermini