Devo riconoscere che la mia prima intenzione verso l'opera di Henry Miller fu quella di leggere della pornografia. Dentro la mia coscienza di lettore rimane molto chiara l'immagine di Roberto Bolaño concentrato a parlare sulle sue faccende delittuose dentro le biblioteche messicane della sua gioventù. Casualmente egli rubava i libri di Miller e De Sade con gli stessi propositi attraverso i quali io spesi dei soldi nel comprare il “Tropico del cancro”; opportunamente decorato dalla “Andromeda” di Tamara De Lampicka in copertina. A questo punto successe un fenomeno alquanto interessante: leggere le prime righe dell'opera in questione mi riempì il cuore di sensazioni molto angosciose, altroché curiosità sessuale. In queste pagine Miller inizia il romanzo descrivendo la sua condizione esistenziale dentro la miseria di Villa Borghese. Proposizioni quali: «siamo soli e siamo morti», oppure «Non c'è scampo, non cambierà stagione», fanno un effetto tale da richiamare nuvole nere sopra la coscienza e spegnere, in un certo modo, una piccola quantita d'interesse verso il romanzo.
Intanto , visto che i romanzi hanno una stesura ben determinata, la lettura doveva proseguire, anche perché l'avidità di riempire il tempo da immagini immorali e quadri erotici era gigantesca. Così arrivai a contemplare ogni passo dato dall'autore verso un universo totalmente originale ed intimo. Forse la mia posizione nella storia e lo sviluppo della tolleranza verso alcune parole “scorrette” hanno provocato che, a differenza di Orwell e una certa quantità di censori, il romanzo non mi scandalizzasse in eccedenza. Questo non vuol dire che il libro sia buono; è la sua particolare atipicità quello che rende l'opera un romanzo attraente. In questo modo, dopo la lettura completa dello scritto, ci si rende conto che la carica di erotismo non è a livelli stratosferici e questo è, di sicuro, un fatto che denuncia il moralismo che soffocò la commercializzazione del romanzo, costringendolo a una ben nota clandestinità. Ecco perchè la vera natura del romanzo, quella in cui c'è una gran esibizione delle povere avventure giornaliere di Miller a Parigi nei tempi della depressione, provoca, sfortunatamente, una certa delusione nei lettori presi già dal pregiudizio: è inevitabile non sentire una certa impotenza nel momento in cui ci si mette a leggere un libro dal quale si risulta ottenere soltanto il vagabondaggio di un aspirante scrittore e non la carnalità così attesa in precedenza. Mi sa che, in questo caso, mirando ad equilibrare e a compensare i desideri, bisogna prendere i diari della Nin o la medesima pornografia in Francese scritta dallo stesso Miller a un dollaro la pagina (archivi ormai persi dopo tanto tempo trascorso). Nondimeno è necessario precisare che la cifra di Miller non è nelle sue offese all'educata società intellettuale Europea, ma, ripeto, si presenta nel suo “anarchismo”. Anzi, l'anarchia è presente sia nei personaggi del romanzo che nell’ innovativo stile dello stesso. Perché, precisamente, quello che esce dalla testa di Miller non si lega a quasi nulla, soltanto ad un comma scritto da Waldo Emerson in cui egli augura, con notevole ottimismo, un prospero avvenire alle biografie:
« In futuro questi romanzi cederanno il passo ai diari, alle autobiografie: libri avvincenti, se soltanto qualcuno sapesse fare una scelta fra ciò che egli chiama le sue esperienze e conoscesse il modo veridico di raccontare la verità”»
Ora bisogna essere realisti: Chi legge oggi questa sorta di romanzi? E' vero che le autobiografie sono oggi un mezzo di successo commerciale, sempre e quando sia l'autobiografia di qualche personaggio storicamente noto. Quindi, di conseguenza, la questione subisce una piccola mutazione: chi si ferma a leggere l'autobiografia di un vagabondo, sudicio, pidocchioso e intellettuale di serie b perso tra quartieri parigini e prostitute di qualità? La risposta è semplice: noi, lettori onnivori e di mentalità alquanto liberale, attingendo, anche se non in modo assoluto, alla predisposizione di trovare un pornografo anziché un’artista. Per questo Miller non fu e non sarà mai lo scrittore del secolo. Ci sono stati scrittori quali, Pound, Eliot e Huxley che hanno lodato la sua scrittura, visto che la suddetta è una chiara dimostrazione di modernismo letterario. Tuttavia, però, questo è poco: dove sono i riconoscimenti? Bella domanda: questi non si presentano, certamente, in premi o lauri accademici, anche se bisogna non dimenticare la coraggiosa e altrettanto umoristica presentazione di Miller al premio Nobel attraverso una breve lettera scritta a pugno dallo scrittore Beat William Borroughs: «Dear Sir, Henry Miller is a uniquely qualified candidate for the Nobel Prize, as a writer whose work — over a period of forty years — possesses not only great intrinsic merit, but has also contributed immeasurably to freedom of expression. Very sincerely, William S. Burroughs (Novelist).”» Così, rimanendo la petizione in nulla, gli unici premi che Miller può ottenere sono i propri lettori: fatto non minore per un romanzo del genere.
In conclusione Henry Miller non è altro che un superstite. Vedere le sue opere così ordinate in fila nelle astanterie di una biblioteca fa pensare ad una certa sopravvivenza (sopravviverà Aldo Busi al trascorso del tempo?), anche se queste non siano così benfatte quanto quelle di altri autori americani che nel periodo tra le bombe scrissero capolavori riconosciuti sia dalla critica che dal crudele e disordinato trascorso del tempo. Miller, in questo modo, potrebbe perfettamente essere definito un romanziere talentuoso, oppure un bravo ritrattista espressionista. Però, nonostante tutto, la sua eccellenza si realizza nell'enorme dimostrazione di un certo disincanto, di un menefreghismo che non smette mai di essere collettivo, realistico ed attuale.
Yerko Andres Sermini.
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