giovedì 5 aprile 2012

Una stagione all'inferno, di Arthur Rimbaud.



Arthur Rimbaud (1854 - 1891) è stato un poeta delle grandi variazioni dentro la propria natura esperimentale. Trattare la sua figura è, più o meno, un'impresa di grandi salti che portano alla convulsione generale di ciò che potrebbe essere denominato il “buon costume” letterario, proprio della classe Borghese affermatasi in Europa dopo la grande rivoluzione francese. Il contesto storico culturale che innescava la necessità di sostanziare formalmente determinate contraddizioni proprie di tale epoca storica modella, in un certo qual modo, tutto ciò che riguarda l'evoluzione della poetica simbolista e, soprattutto, ogni aspetto della grande formazione di ciò che Rimbaud intitolò “Una stagione all'inferno” (Une saison en enfer - 1873), e che sarà oggetto centrale di questo articolo.
Prima di continuare con l'opera specificata, è necessario precisare ciò che è il nucleo generativo dell'opera, e cioè la filosofia che l'autore premetteva nella corrispondenza Epistolare col suo amico Paul Demeny e che dopo sarebbe stato applicata all'opera in parola:

«Il poeta si fa veggente mediante una lunga, immensa e ragionata sregolatezza di tutti i sensi. Tutte le forme d'amore, di sofferenza, di follia; egli cerca se stesso, egli esaurisce in lui tutti i veleni, per non conservarne che la quintessenza. Ineffabile tortura dove egli ha bisogno di tutta la fede, di tutta la forza sovrumana, dove egli diventa fra tutti il grande malato, il grande criminale, il grande maledetto, - e il supremo Sapiente! - Poiché egli arriva all'ignoto! dopo che ha coltivato la sua anima, già ricca, più di chiunque altro! Arriva all'ignoto, e seppure, impazzito, finirà per perdere l'intelligenza delle sue visioni, egli le ha viste! Che crepi nel suo salto verso le cose inaudite e innumerabili: verranno altri orribili lavoratori; cominceranno dagli orizzonti dove l'altro s'è accasciato!»

Tale sregolatezza permette a Rimbaud di cominciare la stesura dell'opera che, apparentemente, lo porterebbe in un viaggio immaginario verso e dentro l'inferno. Lo smarrimento e la totale mancanza di razionalità gli danno l'impulso essenziale per concepire un'opera caratterizzata dall'apertura delle sue strutture, dalla pluralità delle forme e dalla totale violazione delle regole imposte dal tempo e la tradizione. La estraneazione dal cd. “soggettivismo romantico” e l'entrata nella totale occupazione delle sfere dell'inconscio (procedimento che darebbe passo poi alle tipiche caratteristiche del movimento surrealista), attribuiscono, alla composizione poetica dell'opera, un carattere di totale novità nel rispetto delle forme anteriormente presenti. Tuttavia la struttura della saison (contenuta da nove frammenti: un proemio declamatorio e le conseguenti parti strutturate dallo stesso autore: “cattivo sangue”, “notte nell'inferno”, due parti di una sezione chiamata “deliri”, “l'impossibile”, “il lampo”, “il mattino” e “Addio”) non viene regolata su concezioni del tutto irrazionali, com'è considerato per la struttura formale e contenutistica dell'opera . L'origine del lavoro poetico qui preso in considerazione ha, secondo la critica, una radice correlativa alla globale congiuntura geopolitica di quel preciso momento storico e alle conseguenti influenze che tali condizioni hanno definito nell'animo e nella coscienza del poeta francese. Attraverso una struttura che coniuga la narrativa e l'autonomia organizzativa tipica della poesia, Rimbaud rappresenta quel che è la estremizzazione specifica di uno stato spirituale già presente nelle sue opere anteriori più note (Poésies, Le batau iuvre), e cioè l'esagerazione di un declamatore senso di intolleranza e disapprovazione nei riguardi di ciò che in “Le batau iuvre” risulta essere un'Europa commerciale e militare, cagione principale della disaffezione verso la realtà:

Se desidero un'acqua d'Europa, è la pozzanghera
nera e fredda dove verso il crepuscolo odoroso
un fanciullo inginocchiato e pieno di tristezza, lascia
un fragile battello come una farfalla di maggio



Non ne posso più, bagnato dai vostri languori, o onde,
di filare nella scia dei portatori di cotone,
né di fendere l'orgoglio di bandiere e fuochi,
e di nuotare sotto gli orrendi occhi dei pontoni.

Rimbaud, durante la stesura dell'opera, esplica quello che i professori delle superiori chiamerebbero “una rappresentazione assolutamente soggettiva della realtà, al contrario delle metodologie della letteratura positivista”. Tale realtà, per il poeta, è una realtà folta di tristezza e disperazione: l'età della tecnica e l'aumento dei livelli di alienazione mettono, nella preparazione di Une saison en enfer , le basi per la concezione di un viaggio non più liberatorio, il che significherebbe l'inizio della elaborazione di concezioni che darebbero inizio alla totale sfiducia di Rimbaud sull'utilità dell'atto creativo, soprattutto quello poetico. In quest'opera, l'autocritica, le recriminazioni e le amare giustificazioni sporadiche trovano un giusto elemento associativo al continuo innalzamento del tono e la voce:

«Un tempo, se ricordo bene, la mia vita era un festino in cui tutti i cuori s’aprivano, in cui tutti i vini scorrevano.
Una sera, ho preso la Bellezza sulle mie ginocchia. – E l’ho sentita amara. – E l’ho insultata.
Mi sono armato contro la giustizia.
Sono fuggito. O streghe, o miseria, o odio, a voi è stato affidato il mio tesoro!
Riuscii a far svanire nel mio spirito tutta l’umana speranza. Su ogni gioia, per strozzarla, ho fatto il balzo sordo della bestia feroce.
Ho implorato i carnefici per mordere, morendo, il calcio dei loro fucili. Ho invocato i flagelli, per soffocarmi con la sabbia, con il sangue. La sventura è stata il mio dio. Mi sono steso nel fango. Mi sono asciugato all’aria del delitto. Ed ho giocato qualche bel tiro alla follia. »

Ecco come l'opera, oltre a funzionare come analisi di una voyance, descrive, anche, una situazione di grande “abbandono”. Una trasformazione che si allontana dai grandi aneliti che l'arte avanguardista di fine ottocento metteva a disposizione di apparenti cambiamenti sociali copernicani come quelli perseguiti dai movimenti politici di matrice socialista. A questo punto, Rimbaud cambia prospettiva: sostituisce la necessità di conciliare poesia e potenziali cambiamenti sociali, idealismo e veggenza con la solitudine e l'alienazione che l'età della tecnica hanno portato alla vita delle persone fisiche: il viaggio nell'inferno Rimbaudiano non risulta essere altro che un atto di fuga dalla realtà, oltre al rifiuto del ruolo di militante dentro una concezione che incentrava il ruolo sociale nelle forme d'arte dell'epoca. E' così che Rimbaud, oltre ad effettuare una critica aggressiva nei confronti della “banale” classe borghese Francese, dilata le sue considerazioni nei confronti degli stessi artisti, in particolare nei riguardi del suo maestro e amante Paul Verlaine, che fungerebbe, in questo caso, da individuo metodologico, tale e come viene asserito in “L'impossibile”:

«Ho avuto ragione di disprezzare quei brav'uomini che non perderebbero mail l'occasione di una carezza, parassiti della pulizia e della salute delle nostre donne, oggi che esse vanno così poco d'accordo con noi.
(…) in quanti siamo dannati quaggiù! Quanto tempo ho già passato fra questa turba! Li conosco tutti. Ci riconosciamo sempre; ci facciamo schifo. La carità ci è sconosciuta. Ma siamo bene educati; le nostre relazioni colla gente sono molto corrette: C'è di che stupirsi? La gente! I mercanti, che ingenui!»

Sono queste le prospettive che ci permettono di arrivare alla conclusione di quanto sia stato elevato il grado di isolamento che Rimbaud sentì nelle ultime fasi della propria vita. Così come lo fu la propria esperienza, l'opera in questione modella una prospettiva che pone l'umanità, nelle sue condizioni peri-industriali, come circostanza di lotta senza che vi sia nessuna promessa dall'alto che permetta un sollevamento dei dolori: “La lotta spirituale è brutale quanto la battaglia fra uomini; ma la visione della giustizia è solo un piacere di Dio”.

In fine l'”Addio”, ultimo frammento dell'opera, pur avendo come parte conclusiva motivi del tutto pessimistici, si manifesta in maniera ottimistica e favorevole ad una visione quasi apertamente religiosa nei riguardi di un'altra dimensione della vita:

Intanto è la veglia. Accogliamo tutti gli influssi di vigore e di tenerezza reale. E all’aurora, armati di ardente pazienza, entreremo nelle splendide città.“

Yerko Andres Sermini

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